"Dazi zero Usa-Ue? Sarà dura"
L’ex ambasciatore Sessa: “Il rapporto di Meloni con Trump è la vera carta per farlo ragionare ma poi manterrà gli impegni presi?”
L’ex diplomatico italiano è abbastanza ottimista sul faccia a faccia: “Può riavvicinare Europa e States. Meloni dovrà ottenere un risultato anche per l’Italia. Difesa? 5% del PIL difficile, ma il 3% va raggiunto”

La missione a Washington è possibile. Certamente ardua, ma Giorgia Meloni ha le carte in regola per portare a casa un risultato. Ne è convinto Riccardo Sessa: detesta l’etichetta di «diplomatico di lungo corso»; preferisce ricordare di esser stato ambasciatore a Belgrado, Teheran, Pechino e Bruxelles (per la Nato), oltre che direttore generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente. E, proprio in virtù di queste esperienze, è abbastanza ottimista sul faccia a faccia tra la presidente del Consiglio e Donald Trump.
Formalmente Meloni proverà a facilitare il dialogo tra Ue e Usa, ma non ha il mandato per chiudere accordi. Dal punto di vista comunicativo, rischia di essere una visita poco concreta?
«Se la visita è stata ben preparata, escluderei un’eventuale mancanza di concretezza. Ogni visita ha obiettivi e aspettative sui risultati da conseguire e porta con sé effetti e conseguenze. Sarà molto importante quanto potrà essere detto lontano dalle telecamere. Ciò potrebbe facilitare l’avvio di un rinnovato dialogo tra gli Stati Uniti e l’Ue».
In questi incontri quanto contano i rapporti personali, la stima reciproca e l’affinità politica?
«Moltissimo. Avere buoni rapporti sul piano personale costituisce una base importante, specie quando si deve negoziare o trattare».
Il sogno è dazi zero, che significa una grande area di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico. Mica facile…
«Non è assolutamente facile, ma la politica deve mirare a un compromesso che, come la storia ci insegna, non sempre può essere il risultato più auspicato. Non dimentichiamo comunque che questa è una materia sulla quale deve negoziare, anzi lunedì ha già iniziato a farlo, la Commissione europea».
Quali carte può mettere Meloni sul tavolo per convincere Trump?
«80 anni di rapporti consolidati hanno fatto degli Stati Uniti, insieme all’Unione europea, un riferimento della nostra politica estera. In un momento in cui tanti si stanno ponendo la domanda di come ridefinire un mondo senza gli Stati Uniti, il richiamo a certi valori consolidati e a quei rapporti non dico che potrebbe far rinsavire Trump, ma forse farlo ragionare».
E poi c’è il fattore Cina. Donald potrebbe trovare la sponda europea in chiave anti-Dragone…
«I rapporti tra la Cina e gli Usa e tra la Cina e l’Europa rappresentano un tema che richiede un approccio serio e concreto, avendo Trump individuato nella Cina il principale antagonista. Entrano però in gioco fattori non solo nazionali, ma anche di più ampio respiro, tenendo conto anche dei rapporti all’interno del cosiddetto Indo-Pacifico e delle relazioni tra la Cina e la Russia».
Concretamente, al termine del faccia a faccia, quali risultati potrebbe annunciare Meloni?
«La nostra premier dovrà ottenere qualche risultato, non solo per “casa Italia”, ma anche rispetto a Bruxelles e ai nostri principali partner europei. Naturalmente saprà valutare con la necessaria cautela qualunque impegno che Trump vorrà prendere. Verrà riconfermato il legame transatlantico? Ce lo auguriamo tutti, ma Trump sarà poi in grado di mantenere quell’eventuale impegno?».
Ma l’Italia potrebbe ottenere qualche «sconto» per sé, ad esempio sull’agroalimentare?
«Anche questo è un settore di responsabilità della Commissione europea e se ne dovrà tener conto. È certo fuori discussione che dobbiamo difendere anche noi i prodotti italiani, che sono apprezzati e acquistati in tutto il mondo. Trump dovrà spiegare ai propri cittadini/elettori il perché del rincaro improvviso di quei prodotti».
E proprio le dichiarazioni congiunte allo Studio Ovale destano preoccupazioni. Qualche uscita sguaiata di Trump potrebbe mettere in imbarazzo la presidente…
«Tutti ci auguriamo che i colloqui non saranno caratterizzati da esternazioni del tipo di quelle che abbiamo conosciuto, e tanti fattori ci lasciano sperare che così sarà. Detto questo, abbiamo imparato a conoscere le modalità comunicative di Trump e la nostra premier saprà gestirle. Al di là delle esternazioni, l’importante sono i risultati che emergeranno dagli incontri».
Trump con una mano chiede ai Paesi Nato il 5% del PIL per le spese militari, con l’altra minaccia i dazi. Non è una palese contraddizione?
«Trump ci ha abituati a questo ed altro. Le sfide derivanti dal nuovo contesto della sicurezza internazionale portano a dover equilibrare i costi e le spese della Difesa tra Europa e Stati Uniti. Ritengo che la richiesta del 5% sia un onere molto pesante per tanti alleati, tra cui noi, ma anche per gli Stati Uniti che spendono il 3,5% del loro PIL per la Difesa. Sicuramente gli europei, che hanno comunque interesse a non perdere tempo, devono compiere tutti gli sforzi possibili per raggiungere almeno il 3%. Si parla da anni di complementarietà tra la Nato e l’Ue, ma quanto ciò possa ancora essere considerato un obiettivo realizzabile è tutto da dimostrare».
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