Se mi indaghi, ti cancello. Questo potrebbe essere il titolo dell’incredibile vicenda vissuta dall’ex Capo degli Ispettori del Ministero della Giustizia, il giudice Andrea Nocera. Era stato lui, nel 2019, a rilevare delle anomalie a carico degli uffici del pm Henry John Woodcock. E per pura coincidenza sarà proprio Woodcock, insieme con il pm Giuseppe Cimmarotta, a indagare a sua volta Nocera nel dicembre di quello stesso anno. Costringendolo, seduta stante, alle dimissioni. Un testacoda giudiziario che non ha precedenti e che merita di essere conosciuto; anche perché pende ricorso davanti al Csm: il conflitto di attribuzione è evidentissimo. La lenta aporia con cui si è resa irrespirabile l’atmosfera intorno al procedimento parla anche dell’urgenza di riformare i criteri di nomina nell’autogoverno della magistratura, altrimenti condannato alla reiterazione del danno.

Questa storia nasce con il governo Conte I, negli indimenticabili anni in cui è guardasigilli Alfonso Bonafede. Il ministro sceglie Nocera come capo dei suoi ispettori interni, chiamati a vigilare sull’operato dei colleghi. Nocera prende l’incarico sul serio. Forse troppo, a giudicare dalle reazioni. In poco meno di un anno e mezzo istruisce un centinaio di azioni disciplinari e 42 accertamenti preliminari. I malumori sono inevitabili, qualche mal di pancia arriva ai piani alti. In particolare, sarà uno dei procedimenti ispettivi a fare rumore: riguarda l’attività di Nocera nell’occuparsi della procedura disciplinare relativa a Woodcock. Nei confronti del P.m. all’epoca era in corso il giudizio alla Sezione Disciplinare del Csm, definito in maggio con sentenza di condanna alla sanzione della censura per uno degli illeciti contestati a Woodcock. Un procedimento del quale non si ha accesso ai dettagli ma che riguarderebbe “una iniziativa disciplinare assunta dal Ministero della Giustizia”, non meglio conoscibile. Quale che sia, suona come un casus belli. È dopo quella procedura che ai piani alti del Ministero qualcuno fa esplodere una bomba. Metaforica, si intende. Ma non troppo: Andrea Nocera – con la massima urgenza – viene convocato dal Ministro. È la sera del 28 novembre 2019. Si trova a Firenze dove tiene una relazione al corso del Csm, e risponde che andrà l’indomani. La notte trascorre agitata: il tono del Ministro inusuale, la convocazione urgente e perentoria lasciavano presagire brutte sorprese. Il mattino dopo a via Arenula lo attendono, come un plotone di esecuzione, Alfonso Bonafede e il suo Capo di Gabinetto, Fulvio Baldi.

Danno conto di aver ricevuto nelle loro stanze il Procuratore capo di Napoli, Giovanni Melillo e il Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi. Il Procuratore di Napoli aveva consegnato al Ministro una nota con la quale si informava di aver iscritto Nocera nel registro degli indagati. Come ormai ci ha abituato la giustizia, la comunicazione non conteneva alcuna indicazione sul reato per il quale risultava indagato. Solo un numero di procedimento, ma tanto bastava. È un attimo, un gioco di sguardi. Forse – noi non c’eravamo – un susseguirsi di sospiri. Si verbalizza: “Ministro e Capo di Gabinetto procedevano, nei termini richiesti dall’Autorità Giudiziaria, all’adempimento della notifica. Andrea Nocera nell’immediatezza ha rassegnato le dimissioni dall’incarico di Capo dell’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, chiedendo l’immediato rientro in ruolo”. Accordato dal Csm la settimana successiva, sì. Ma un rientro nei ranghi non privo di amare sorprese.

In quel frangente a Nocera viene notificata la fattispecie contestatagli da Woodcock, che per l’occasione si tramuta da indagato a indagatore: corruzione in concorso con l’armatore Salvatore Lauro e l’imprenditore marittimo Salvatore Di Leva, amministratore della società Alilauro Gruson. Parte, prima ancora che il giudice Nocera possa confrontarsi con i suoi legali, la requisitoria del processo mediatico: Il Fatto Quotidiano, Corriere della Sera (in particolare con l’edizione del Mezzogiorno, da Napoli) e Repubblica avrebbero già una mezza idea sulla sentenza: “Accuse pesanti. Fino a oggi il magistrato era sempre stato considerato una persona al di sopra di ogni sospetto dai colleghi”, sintetizza Il Fatto. Nello specifico, Woodcock ha acceso i fari su un presunto incontro che sarebbe avvenuto agli inizi di aprile. Guarda caso, proprio mentre il procedimento disciplinare a suo carico, a via Arenula, veniva istruito da Nocera. All’incontro incriminato avrebbero preso parte, oltre a Nocera, Di Leva, Lauro e il commercialista Alessandro Gelormini. Al magistrato sarebbe stato chiesto di procurarsi “notizie e informazioni” su un’inchiesta per reati societari in cui era coinvolto l’armatore. In cambio a Nocera, che ha una casa a Capri, sarebbero stati forniti “numerosi biglietti e tessere” per gli aliscafi diretti nell’isola e “servizi di manutenzione e rimessaggio” di un gommone nel cantiere di Di Leva.

Non entriamo nel merito dell’inchiesta. Parliamo del metodo, in punta di piedi, con le informazioni che abbiamo. Nocera ha protestato, a dire il vero, l’anomalia gigantesca della coincidente trattazione del procedimento disciplinare e messo in evidenza, in un esposto al Csm, il singolare dato temporale lungo il quale si dipanano i fatti. “La forma dell’esposto – precisa Nocera nella premessa – è l’unica possibile attesa la sostanziale assenza di contraddittorio nel procedimento, definito con una richiesta ed un decreto di archiviazione senza possibilità di interlocuzione difensiva sugli elementi di indagine – salvo l’interrogatorio reso su richiesta della difesa a distanza di circa due anni dall’inizio dell’indagine, senza alcuna formulazione anche sintetica delle ipotesi di accusa – nonostante i temi siano stati oggetto di una lunga ed affannosa “requisitoria” del pubblico ministero, inutilmente sviluppata in oltre 130 cartelle”. Centotrenta cartelle che si alimentano anche di intercettazioni telefoniche, naturalmente distribuite ad un pugno di giornalisti amici mentre l’indagine era strettamente riservata. Al punto che quando, ancora scosso per l’avviso di garanzia ricevuto, Nocera prende il treno per tornare a Napoli, sarà il caporedattore di Repubblica Del Porto – incontrato per caso – a svelargli i dettagli dell’inchiesta, con tutti i particolari.

Aveva avuto accesso ai brogliacci delle intercettazioni già il 4 dicembre, per una inchiesta della massima riservatezza non c’è male. Confidandosi con l’amico Nocera gli assicurerà, peraltro, di non credere alla storia del gommone. Tenuto accuratamente al buio l’interessato, le sue conversazioni erano state misteriosamente – ma meticolosamente – ben distribuite alla stampa, incoraggiata a scrivere. Sono agli atti le strettoie che hanno complicato l’esercizio del diritto di difesa dell’indagato Nocera: dalla notizia della indagine (5/12/2019) alla data dell’interrogatorio (20 settembre 2021), benché sollecitato ripetutamente dagli avvocati dell’Ispettore dimissionato, e ampliamente scaduti tutti i termini di indagine, la Procura di Napoli non ha emesso alcun atto utile a consentire una potenziale ricostruzione dei fatti. “Ciò ha impedito di fatto ogni possibile spazio di dialettica sugli elementi acquisiti – al di là dell’interrogatorio reso su richiesta della difesa – e ogni possibile interlocuzione difensiva anche in relazione alla determinazione raggiunta dall’Ufficio di Procura di definire il procedimento con richiesta di archiviazione”, si legge ancora nell’esposto di Nocera. Un clima di veleni cui il Ministero di Bonafede ha assistito senza colpo ferire, lasciando ancora una volta che il sistema giudiziario cannibalizzasse se stesso.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.