Con la Soprintendenza ai beni culturali, nei miei tre anni di direttore generale della Reggia di Caserta, fummo fortunati. Mentre in precedenza, a Bologna, avevo visto e preso nota di esperienze di ogni tipo – indimenticabile quando mi vietarono di proiettare un filmato sulle mura del Mille in piazza Verdi, dove si cammina fra le lattine ed è più facile comprare del fumo che un pacchetto di MS – a Caserta ricordo un rapporto buono, certo favorito dalla comune appartenenza allo Stato e dal fatto che, fino alla riforma Franceschini dei grandi musei statali, questi facevano corpo unico con la locale Soprintendenza.

Altri furono gli ostacoli che si frapponevano al desiderio che ai progetti seguissero le opere; alle scelte, i risultati. L’oggetto dello scontro era l’obiettivo di assicurare ai musei una moderna gestione aziendale, capace di generare diffusione di cultura, effetti turistici, di trainare lo sviluppo dei territori. Beni culturali come generatori di valore, ricchezza, lavoro di qualità. Questo traguardo era ed è avversato da una burocrazia abituata a pensarsi come costo, nobile quanto si voglia, ma pur sempre costo, e quindi paralisi della possibilità di veder crescere nel tempo le risorse per la conservazione, i restauri, la ricerca, la gestione degli archivi, l’arricchimento delle collezioni.

Paradossalmente, è il tema della sicurezza l’arma letale dei reazionari. I sindacati non fanno scioperi, ma denunce per la sicurezza, tenendo i dirigenti sotto scacco permanente. Perché in Italia l’incuria per la sicurezza è combattuta dal Codice penale, ma con il fine di tutelare i lavoratori e gli utenti, non di ricattare il management. Agli onori delle cronache andò la denuncia contro di me perché lavoravo fino a tardi, mettendo in pericolo – guarda un po’ – la sicurezza del monumento. Meno noto è il fatto che, quando già l’opinione pubblica aveva giudicato i miei eccessi come un merito e non una colpa, io dovetti comunque rispondere punto su punto all’inchiesta ministeriale.

È ignoto invece un caso egualmente significativo. Un venerdì alcuni sindacati chiesero all’Asl una verifica di sicurezza. In un paese dove ogni giorno si conta almeno un morto sul lavoro, nei cantieri, nei campi, nelle officine, e si lamentano le carenze di personale, il lunedì l’Asl è già sul posto, verifica che un estintore (sono centinaia) è scaduto: verbale, denuncia penale che però posso superare pagando di tasca mia una sanzione di 5mila euro. Una maggiore complicità con i sindacati avrebbe vantaggi, no?

E poi altri ricordi: l’intero Consiglio comunale di Caserta, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che si esprime contro l’apertura nella Peschiera e nel villaggio dei Liparoti di una scuola di vela e canottaggio in project financing, a costo zero per la Reggia, inducendo l’investitore Davide Tizzano – due volte campione olimpico per l’Italia – a rinunciare (inutile dire che gli spazi sono ancora inutilizzati); o il processo al gestore del ristorante della Reggia, che non pagava l’affitto, ancora in corso dopo otto anni; la mancata apertura di una scuola di restauro nella Casa del Giardiniere, già pronta e arredata, con tutta la Reggia come laboratorio permanente e infinito, perché evaporò la disponibilità dell’Accademia alle Belle Arti di Napoli. È dura la vita dei manager culturali in Italia, eppure il movimento avanza, lento, lento.

Mauro Felicori

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