Giustizia
L’Italia è un Repubblica fondata sulle toghe: oro colato per il populismo penale
La magistratura, insieme ai media e al web, condiziona pesantemente la politica e la vita pubblica. Le indagini diventano un’arma a suon di intercettazioni e gogna

Discutiamo di Parlamenti e governi, elezioni e partiti come se fossero ancora i pilastri della vita pubblica. Non è così, o non è più solo così. In Italia il gioco democratico è ormai vistosamente condizionato da un potere di corpo che trascende il circuito del voto: la magistratura. Insieme ai media e al web, oggi costituisce l’architrave di una costituzione silenziosa in grado di trasformare le organizzazioni più solide in una cricca di malfattori. Essa, al contrario, resta intoccabile. Pena il timore che venga messa in discussione la sua autonomia, nonostante un recente e clamoroso scandalo che ha rischiato di travolgere proprio l’organo che doveva garantirla.
La risposta dell’Anm
Del resto, dopo la prima approvazione alla Camera della legge sulla separazione delle carriere, subito è scattata la risposta dell’Anm. Così il potere giudiziario (si scrive “ordine”, ma si legge potere) sciopera contro il potere legislativo e il potere esecutivo. Un fatto inaudito. Beninteso: anche in questi giorni non mancano le accorate considerazioni del primo sulle carenze, sulle lungaggini e sulle inefficienze del nostro sistema della giustizia. Senza però che i loro costi – sociali, economici, umani – varchino mai la soglia del piagnisteo impotente a cui si contrappone un giustizialismo ottuso.
I casi
Se non intervengono le manette, il politico, l’amministratore o il manager rinviati a giudizio entrano nel cono d’ombra di un calvario processuale di cui si perderanno presto le tracce. Salvo tornare, ma molto più marginalmente, sui giornali nel momento dell’archiviazione o del proscioglimento. Ne sanno qualcosa – solo per citare alcuni tra i casi più noti di un elenco sterminato – Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Antonio Bassolino, Ottaviano Del Turco e, da ultimi, Matteo Renzi e Stefano Esposito (come si vede, è ridicolo parlare di “toghe rosse”). Di fronte a risultati così deludenti, non sorprende che qualche Procura tenda a privilegiare – nella scelta dei suoi obiettivi – personalità di maggior calibro istituzionale o legate a personaggi di rilievo nazionale. Siamo in un’epoca in cui intercettazioni e documenti coperti dal segreto istruttorio vengono pubblicati ad horas dalla stampa, e in cui l’apertura di un fascicolo o un avviso di garanzia non si nega a nessuno. Soprattutto se ricopre o si candida a una poltrona di sindaco, di governatore, di ministro, di leader politico.
“Coraggio, il meglio è passato”
In questa palude melmosa sguazzano il populismo penale, i verdetti emessi dal Tribunale della Rete, la tentazione che la “gente” si faccia giustizia da sé. Non è passato molto tempo da quando un manipolo di aspiranti giacobini si vantava senza pudore di una legge chiamata “spazzacorrotti”. È questa, in buona misura, l’odierna realtà repubblicana. “Coraggio, il meglio è passato”, recita un celebre aforisma di Ennio Flaiano. Infatti il peggio è sempre dietro l’angolo in un paese in cui molti preferiscono un innocente in galera a un colpevole libero.
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