L’arroganza è sempre una cattiva consigliera, figurarsi nella gestione dei rapporti gerarchici tra magistrati. A maggior ragione se ad adottarla sono due figure apicali come il procuratore generale della Cassazione Salvi e il procuratore capo di Milano Greco. Esse si muovono in un contesto nel quale sono già avvenuti terremoti sia a livello di Anm e di Csm sia per ciò che riguarda Milano, che è nell’occhio del ciclone per una serie di questioni. Ma innanzitutto per una: siccome i pm De Pasquale e Spadaro hanno puntato tutte le loro energie per distruggere il gruppo dirigente dell’Eni, l’assoluzione, accompagnata da una durissima motivazione, già aveva rappresentato una sconfitta bruciante per la procura nel suo complesso con code processuali visto che De Pasquale e Sergio Spadaro sono sottoposti ad un procedimento presso la procura di Brescia.

A monte di tutto ciò c’è il preteso caso Palamara, preteso perché esso coinvolge tutto il funzionamento interno della magistratura per ciò che riguarda l’assegnazione delle cariche. Palamara infatti era una ruota dell’ingranaggio e non si è inventato lui la permanente trattativa fra le correnti indipendentemente dai curricula e dai meriti. Se non che ad un certo punto Palamara, leader della corrente di centro, ha commesso l’errore di rovesciare le alleanze passando da una alleanza di centrosinistra ad una di centrodestra. Così è partito non un proiettile, ma un missile a più stadi, cioè il trojan. Attraverso le intercettazioni del trojan, è stato messo in piazza il sistema, appunto, non le malefatte di Palamara.

A quel punto, per salvare la magistratura ed il suo prestigio, occorreva una sorta di Rivoluzione Culturale con l’azzeramento di tutto, con le dimissioni del Csm, del suo vicepresidente Ermini, con la messa in questione anche della nomina – peraltro derivata da una dimissione – del pg della Cassazione Salvi, perché tutto derivava non da Palamara, ma dal Sistema nel quale Palamara era uno dei dirigenti del traffico. Invece, con un misto di arroganza e cecità, si è pensato di mantenere in piedi l’impianto, operando un assassinio mirato (il medesimo Palamara appunto, addirittura espulso dalla magistratura) con qualche mezzo suicidio selezionato (dimissioni talora sollecitate dalle correnti di riferimento anche di soggetti poi risultati innocenti). Già l’operazione era asfittica di per sé, poi è avvenuta in un contesto nel quale la contestazione di questo sistema giustizia era crescente: bastava solo che qualcuno accendesse un cerino. Il libro di Palamara e Sallusti è stato questo cerino che ha dato fuoco alla prateria. Neppure questo segnale è bastato.
Questo è il retroterra utile a spiegare ciò che è avvenuto in questi giorni: un caso di straordinaria arroganza, posto in essere dal Procuratore di Cassazione Salvi in stretta connessione con il Procuratore di Milano Greco.

Per raggiungere l’obiettivo di radere al suolo il gruppo dirigente dell’Eni, due avvocati in rottura con quella azienda, cioè Amara e Armanna, risultavano per i pm molto utili. Il primo aveva addirittura fatto oblique affermazioni secondo le quali il dottore Tremolada che guidava il processo, un magistrato da tutti stimato, “era avvicinabile dalla difesa dell’Eni” (questa affermazione se raccolta poteva far saltare il processo), in secondo luogo i due pm Di Pasquale e Spadaro sono in giudizio a Brescia per non aver inserito negli atti del processo delle prove favorevoli alla difesa (come è noto il pm esercita la pubblica accusa non per i fatti propri ma a nome del popolo italiano e quindi deve raccogliere anche eventuali prove favorevoli agli accusati): è quello che ai tempi di Mani pulite fece il vice di Borrelli dottor Dambrosio, quando raccolse prove a favore di Greganti e quindi del PCI – PDS).

In un contesto già di per sé così ambiguo ed inquietante, Amara ha riferito al pm Storari che egli faceva parte di una loggia segreta, la Hungaria, insieme a personalità di grande rilievo (e ha fatto i nomi di alcune di esse che manipolavano i processi e contribuivano a costruire carriere nella magistratura). Non è affatto detto che Amara abbia raccontato la verità, però quello che egli ha messo a verbale andava accertato seguendo il meccanismo classico: avvisi di garanzia, indagini, perquisizioni, intercettazioni, magari anche con il trojan. Se non che Storari ha verificato che il suo procuratore capo Greco non si muoveva e allora si è rivolto ad una personalità rilevante del Csm cioè Davigo per suonare un campanello d’allarme. Ieri Davigo ha fornito sul Corriere della Sera un imbarazzante resoconto di tutte le personalità da lui interpellate, fino a lambire la presidenza della Repubblica.

Quello che è avvenuto dimostra due cose: la prima è che si sono inceppati alcuni meccanismi procedurali nel sistema. La seconda è che, come ha affermato Sabino Cassese, la magistratura non può esercitare i meccanismi disciplinari su se stessa, perché, anche per l’esistenza delle correnti, ciò può produrre incredibili disastri. Comunque, come se in questi mesi non fosse successo niente, come se il Sistema fosse solidissimo, il procuratore capo della Cassazione Salvi, anch’egli contestabile perché espresso proprio da quel Sistema, ha deciso di prendere la scimitarra e di tagliare la testa di Storari, del solo Storari, addirittura allontanato da Milano per ridare serenità a quella procura e privato per il futuro di poter esercitare ancora il ruolo di pubblico ministero. Parliamoci chiaro: l’obiettivo di questo attacco frontale del Procuratore Salvi nei confronti di Storari ha come retroterra filosofico un motto tipico degli anni Settanta: colpiscine uno per educarne cento. E si fonda sulla forza del principio di autorità, in questo caso sostenuto anche dal procuratore capo di Milano Greco. L’iniziativa dei due potentissimi procuratori avrebbe dovuto mettere in riga tutti.

Ma Salvi e Greco non hanno fatto i conti con la situazione attuale: essi sono gli ultimi dei “mandarini” di un sistema in crisi dalle fondamenta. Così, invece di andare a baciare la pantofola dei due procuratori, c’è stata l’iniziativa di un documento eterodosso sostenuto da un Pm di grande prestigio come Alberto Nobili che ha ottenuto più di cento firme, fra cui 56 su 64 fra i componenti della Procura. Il documento è assai calibrato, ma colpisce al cuore, anzi ridicolizza, le esagitate esternazioni di Salvi nel punto cruciale: «La loro serenità non è turbata dalla permanenza del collega nell’esercizio delle sue funzioni presso la procura della Repubblica di Milano». Se qualcuno voleva risolvere con una operazione disciplinare il problema Storari, che non è più tale ma è quello della Procura di Milano, si è sbagliato di grosso. Che poi la sezione disciplinare di questo Csm delegittimato sia a sua volta in grado di affrontare a colpi di scimitarra una questione di questo spessore ci sembra del tutto impossibile. Passando dalla magistratura alla politica, è come se qualcuno pensasse di risolvere i tanti problemi politici che ha il Pd con la stessa metodologia autoritaria usata a suo tempo dal gruppo dirigente del Pci nei confronti del manifesto. Se Salvi pensa di trattare Storari come a suo tempo Longo, Amendola, Natta trattarono Pintor fa un errore colossale. La crisi è di sistema. Comunque bisogna dare atto si magistrati inquirenti di Milano di aver dato la prova di avere la schiena dritta. Il documento apre però problemi enormi per ciò che riguarda, al di là dell’episodio in oggetto, proprio il funzionamento della magistratura.