Cultura
Lo Straniero, il romanzo contemporaneo di Albert Camus
Nella prima la splendida rievocazione del tempo morto trascorso dal protagonista fra l’ospizio di Marengo, la domenica nella casa vuota di Algeri, i bagni di mare insieme a Maria, i colloqui con Raymond e la sparatoria sulla battigia, è aperta e luminosa. Nella seconda la lunga minuziosa descrizione processuale, nel chiuso della cella e nella bolgia del tribunale, ci riporta a uno spazio claustrofobico sul quale i profumi della notte, mischiati ai ricordi della smarrita felicità, entrano come frecce acuminate pronte a conficcarsi nell’animo dell’imputato.
Egli, dopo la sentenza, una volta mandato via il cappellano, dichiara: «Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio». Per troppo tempo ci siamo crogiolati sull’amara sconfitta di Meursault. Ma Albert Camus, consegnandolo al patibolo, voleva distruggere e non consolidare i suoi alibi interiori.
Per lenire la ferita e magari superare la solitudine dell’uomo occidentale, preparandoci a un diversa qualità della relazione umana che la nostra epoca richiede, proviamo quindi a rileggere Lo straniero dentro l’ottica dell’ideale confederativo proclamato nella Ginestra. E chissà forse scopriremo un romanzo nuovo.
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