L’universo pro-Pal custodisce quel patrimonio di idee e di azioni del popolo tedesco secondo cui gli ebrei sono origine di ogni male nel mondo. Una storia antica. Questo patrimonio non ammetteva – e non ammette – che l’annientamento degli ebrei, quindi di Israele, che è il loro Stato. Il progressista collettivo, nel comporre le immagini sin dall’8 ottobre 2023, osserva, stizzito, che è un ignobile paragone, che non si tratta di ebrei ma di «sionisti» che rovesciano il male ricevuto dai nazisti sui disgraziati palestinesi, in un contrappasso analogico ma senza logica, quasi a dire che c’è qualcuno più ebreo degli altri. Caduta Weimar, in Germania ci fu tanta brava gente che non avrebbe torto un capello a nessuno, che tirava la carretta come tutti, avvocati, muratori, elettricisti, medici, poliziotti, impiegati e giovani che respirarono quell’aria, che entrò nei polmoni piazzandosi nella mente e nel cuore di un popolo, fino a farsi senso comune. Cosa avvenne è noto.

Il modulo si replica oggi ancor peggio: i nasi adunchi sui manifesti e nei libri o gli adesivi anti-giudei davanti ai negozi (vedi Napoli o Milano oggi) diffusi al tempo, sono niente al confronto dell’Apocalisse proiettata nelle case di chi a stento sa dove si trovi Israele ma sa per certo che sta ammazzando bambini per sfizio, naturalmente dopo aver estromesso i palestinesi 80 anni fa con una proditoria occupazione. Anche questo si è fatto senso comune, risarcendo un certo Goebbels per la celeberrima frase sulla menzogna ripetuta all’infinito che si fa verità: l’ariano dal piede equino ma dal cervello satanico convinse tedeschi e affini; la “narrazione” della vicenda di Gaza ha invece centrato in pieno l’obiettivo.

Gli studi sulle affinità tra nazismo e movimento di “liberazione” palestinese non sono moltissimi: rientrano perlopiù nella categoria generale del rapporto storico-organico tra la svastica e la mezzaluna. Se n’è occupato di recente Rafael Medoff, fondatore e direttore del David S. Wyman Institute del Nebraska; ne hanno scritto Elie Fagan sul Washington Jewish Week e Nadav Shragai su Israel Hayom. Il compianto Robert Wistrich (morto a Roma nel 2015) fu profetico con il suo “Hitler’s Apocalypse: Jews and the Nazi Legacy” del 1985, quando rilevò la similitudine tra il “tutto o niente” del Fuhrer e ciò era accaduto in MO dal ‘48 in avanti. Joseph Spoerl, del Centro studi per la Sicurezza e gli Affari esteri di Gerusalemme, ha scritto che “sia il nazismo che l’islamismo postulano un nemico ebraico con intenzioni genocide nei confronti dei non ebrei e che merita in cambio una risposta genocida”: proprio ciò che succede da 80 anni in Israele, culminato con la massima carneficina sin qui sperimentata il 7 ottobre, con la beffarda differenza che, oggi, ai massacrati si imputa di massacrare i propri massacratori. Qualcosa è davvero andata storta se anche le menti migliori – diciamo – dell’Occidente non si accorgono di ciò che dicono e fanno con i loro “cessate il fuoco” e “from the river to the sea”, quando non si bercia con il ritornello, inutile, dei “due popoli due Stati”.

A Gaza ci sono due milioni di abitanti. Tentando di conservarci equilibrati, si potrebbe affermare che almeno il 50% è allineato, mentalmente, sentimentalmente e materialmente ai propri governanti, cioè Hamas in testa, Jihad islamica e Comitati di resistenza a seguire. Anche a Gaza ci sono splendide persone, bravi padri di famiglia che, come i tedeschi dopo Weimar, si sono uniformati per convinzione, necessità o interesse al proprio apparato di Stato e di governo. C’è chi sostiene che, se si votasse domani, Hamas vincerebbe di nuovo, anche sotto le bombe e tra le macerie di questi infiniti tragici giorni. Non è da escludere. Quando l’Armata Rossa era a pochi metri da Berlino nel ‘45, moltissimi tedeschi, non solo la Wehrmacht, continuarono a resistere – anche quella fu Resistenza, no? – in ogni casa e in ogni strada: si calcola che furono circa 125mila solo i civili morti, cui vanno aggiunte le decine di migliaia che preferirono uccidersi; città come Demmin divennero tristemente note per ondate di suicidi di massa. Tutti uccisi dalla guerra che il loro Paese aveva voluto e scatenato.

C’è un altro popolo in guerra ora a Gaza, che la guerra ha voluto e ottenuto. In tutte le guerre ci si ammazza, muoiono gli innocenti, i colpevoli, tutti. Le guerre hanno sempre una ragione: non nascono dal nulla, e quella oggi in corso nella biblica «pustola» ai confini con l’Egitto (e domani più su in Cisgiordania) sappiamo tutti perché c’è. Tranne mezzo Occidente.

Peppe Rinaldi

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