Colpisce un dato delle elezioni tedesche: la sinistra è largamente minoritaria tra i lavoratori. Il consenso delle due sinistre, radicale e socialdemocratica, sommato si ferma al 20% tra gli operai e al 25% tra gli impiegati. Anche in Italia il rapporto tra sinistra e lavoro è da tempo in crisi. La segretaria del principale partito del centrosinistra annuncia di aver “riportato il Pd davanti a fabbriche, ospedali, nelle piazze”. Ma per dire e fare cosa? Per anni “la nuova sinistra”, nata sulla spinta della woke culture, si è concentrata sulla frammentazione della società in identità particolari, quasi fosse una versione artificiale ed elitaria della lotta di classe. Si difendono valori e diritti delle minoranze che sono sacrosanti, ma che parlano inevitabilmente solo a una parte di chi si vorrebbe rappresentare.

Tornare a parlare a chi lavora

Oggi sente la necessità di tornare a frequentare il lavoro, ma lo fa confermando paradigmi woke e coniugandoli con nostalgie vetero comuniste. Si agitano ingiustizie senza fare nulla di concreto per risolverle. Il risultato è un messaggio che fa della retorica radicale e dell’indignazione le sue caratteristiche riconoscibili, finendo per risultare vagamente anticapitalista, ma non perché portatore di alternative, quanto per mancanza di alternative. Si preferisce una sconfitta identitaria al candidarsi seriamente a governare il Paese, del resto una parte della sinistra guarda come modelli alle sconfitte identitarie di Corbyn e Mélenchon.

Combattere il lavoro povero

Se la sinistra vuole tornare a parlare a chi lavora, deve avere il coraggio di un’operazione verità. In un Paese dove gli stipendi hanno avuto il peggior andamento d’Europa negli ultimi trent’anni e l’emigrazione dei giovani ha assunto i connotati del fenomeno di massa, è necessario sgombrare il campo da alcune bugie colossali. A partire dal salario minimo. In Italia c’è un problema di lavoro povero, ma questa sinistra non ha fatto nulla per contrastarlo quando era al governo e ha fatto peggio ora all’opposizione. Il salario minimo legale evidentemente non aveva i numeri in Parlamento. Si poteva invece combattere il lavoro povero applicando l’articolo 39 della Costituzione, che prevede l’estensione dei contratti più rappresentativi. Certo, al prezzo di colpire qualche interesse corporativo a sinistra e di rinunciare allo scontro frontale con il governo che tanto si è rivelato proficuo nella campagna elettorale per le Europee.

I progetti

Lo stesso schema si ripete con la proposta sulla riduzione dell’orario di lavoro. Sembra che lo scopo non sia ottenere risultati favorevoli per i lavoratori, ma semplicemente cavalcare una battaglia. Inevitabile che si crei una distanza che diventa diffidenza. Serve allora abbandonare sia la sinistra del barricaderismo sterile che quella del governismo senza visione, per costruire una sinistra concreta. Che metta al centro i bisogni reali delle persone e i cambiamenti che servono al Paese: salari dignitosi per chiudere il gap con l’Europa, ripartenza dell’ascensore sociale, politiche industriali e investimenti strategici per dare una prospettiva alle nuove generazioni.

Alla tentazione del “pessimismo dell’indignazione” bisogna rispondere con una volontà tenace, ottimista, misurabile nella vita dei cittadini.
Anziché cercare nemici, serve costruire alleanze larghe tra diversi settori della società. E non accontentarsi di rappresentare minoranze, ma candidarsi a unire la maggioranza dei cittadini attorno a un progetto. Siamo di fronte a un’ondata della destra populista e sovranista. Bisogna scegliere se diventarne involontario strumento, rifugiandosi in consolazioni ideologiche, o proporsi come argine e alternativa.
Europa, lavoro, democrazia: è il tempo delle scelte.

Tomaso Greco

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