I nostri progetti (ri)educativi realizzano una recidiva di reato dello 0%
“L’ozio della branda”, chi non può imparare un lavoro in carcere è condannato due volte

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Forse. Il pilastro numero uno della nostra Costituzione sembra non reggere all’urto della realtà dei penitenziari dello stivale, dove al 31 dicembre 2022 solo 2.608 persone su 56.196 avevano un lavoro, che non fosse fare “lo spesino” o “lo scopino” alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Lavori per la quotidianità della vita in carcere. Che è già un upgrade rispetto agli “anni di branda”, ossia del nulla fare, con cui si matura il rispetto degli altri nella propria sezione.
Mi chiamo don David, sono un “prete di galera” e sono grato dell’opportunità di poter aprire su “Il Riformista” uno squarcio sul mondo del lavoro carcerario, che da subito catturò tante mie energie nel penitenziario di Busto Arsizio, di cui sono il cappellano dal novembre 2018. Nell’estate 2019 diedi avvio alla Cooperativa Sociale “La Valle di Ezechiele”, col desiderio di creare opportunità di inclusione lavorativa per persone detenute. Ad oggi le persone ristrette nella Casa Circondariale di Busto Arsizio sono 420. Il territorio varesino conta migliaia di imprese. I conti sono fatti. L’ozio della branda potrebbe non esistere.
Il rinforzo della mentalità delittuosa, che vive di non lavoro sarebbe intaccato alla sua radice culturale. Il valore di una persona detenuta a lavoro non dipende meramente dalla retribuzione, dall’occupazione del tempo, dalla stanchezza (un elemento non secondario) o dall’empowerment che può derivare dagli apprezzamenti nello svolgere bene il proprio mestiere. Il valore terapeutico del lavoro nasce anzitutto dall’igiene relazionale che deriva dall’essere immessi in contesti sociali non criminosi, dove il dialogo quotidiano non annovera tra le normalità per arrivare a fine mese le parole ‘rapina’ o ‘roba’ e dove i regali di Natale per i bimbi sono frutto di rinunce e spiccia programmazione finanziaria in famiglia. Non di illeciti commessi per non sentirsi padri o madri di serie B. La Valle di Ezechiele ha aperto i battenti del proprio capannone nel novembre 2020. Il 25 ottobre 2021 è stata tenuta a battesimo dall’allora Ministra della Giustizia Marta Cartabia.
A oggi sono venti le persone scarcerate dalla Magistratura competente, grazie ai nostri progetti di inclusione lavorativa. Nessuno di loro al momento risulta abbia commesso nuovi reati. I nostri progetti (ri)educativi realizzano una recidiva di reato dello 0%. Quindici persone hanno lavorato nelle nostre filiere produttive: processi di dematerializzazione digitale di archivi cartacei; assemblaggi; cesti di Natale con prodotti di economia carceraria; un calendario artistico, unico prodotto intramurario al momento. Cinque persone sono state introdotte in aziende nostre partner nella realizzazione dei cesti di Natale. Dalla collaborazione con il birrificio “The Wall” e Lorenzo Dabove è nata la “Prison Beer: la birra che detiene la bontà”. Un vero e proprio marchio brassicolo della cooperativa, generatore di nuove posizioni lavorative.
Gian Paolo Gualaccini il 5 dicembre scorso, alla presentazione della ricerca del CNEL “Le dimensioni della dignità nel lavoro carcerario” affermò: “Se la recidiva per i detenuti non lavoratori, infatti, si aggira intorno al 70%, per coloro che invece in carcere hanno appreso un lavoro, imparando ad avere fiducia in sé stessi, la recidiva scende drasticamente intorno al 2%”. Ma allora dovremo chiederci e chiedere ai rappresentanti delle Istituzioni che ne è dei tre miliardi e mezzo consumati mediamente all’anno dalle nostre patrie galere, per generare “clienti abituali”. Il cinismo degli operatori all’uscita di alcune persone è drammaticamente sarcastico: “Quanto ci metterà questo a rientrare?”. La Valle di Ezechiele, come le tante iniziative private del Terzo Settore nei penitenziari d’Italia, realizza sicurezza. Più delle carceri. È un fatto. Bisognerà renderne ragione ai contribuenti. E magari crederci davvero che l’Italia è fondata, e ha da essere continuamente rifondata, sul lavoro
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