Carcere di Regina Coeli, Roma. Ha preso un lenzuolo, l’ha annodato alle sbarre della cella formando un cappio e se l’è stretto intorno al collo. Ha stretto forte, fortissimo fino a morire. Si è tolto la vita così un detenuto di trentadue anni, è morto da solo, una mattina di metà marzo nel penitenziario romano. Era stato condannato per aver appiccato un incendio nel quale perse la vita un pensionato. Era solo un assassino, diranno i più. No. Era un detenuto e questo vuol dire che era sotto la diretta responsabilità dello Stato. E si è impiccato. Quando ha deciso di suicidarsi Marco (nome di fantasia) era solo nella sua cella.

Gli agenti della Polizia Penitenziaria si sono accorti che si era impiccato durante la conta dei detenuti, hanno cercato di salvarlo e quando l’hanno liberato dal lenzuolo che gli impediva di respirare, Marco era ancora vivo. Quando sono arrivati i soccorsi respirava ancora, poi la morte. Marco era in attesa di essere trasferito in altro Istituto, non ci arriverà mai. È il decimo suicidio in carcere dall’inizio di quest’anno, mentre nel 2022 sono stati 84 i ristretti che hanno deciso di togliersi la vita dietro le sbarre.

Stando ai dati raccolti, il numero dei casi di detenuti che si tolgono la vita in carcere è quasi raddoppiato nel giro di 10 anni: prima del 2012, i casi erano in media 44 all’anno. Nel 2022, 59 persone su 85 — il 59% dei casi — si sono tolte la vita entro sei mesi dall’ingresso in carcere. Dieci persone si sono tolte la vita a 24 ore dall’inizio della reclusione.

Una vita insopportabile, insopportabile a tal punto da preferire la morte. È una strage silenziosa, che passa in sordina, che non arriva ai liberi, alla gente che vive fuori da quei luoghi infernali. E non importa alla politica. “Sconforta che le autorità politiche, penitenziarie ministeriali e regionali, pur in presenza di inquietanti eventi critici, non assumano adeguati e urgenti provvedimenti – ha commentato Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria – Chiedo al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, un netto cambio di passo sulle politiche penitenziarie del Paese – ha aggiunto il leader del Sappe – È necessario prevedere un nuovo modello custodiale. Ne abbiamo parlato in un recente incontro con il sottosegretario alla Giustizia Delmastro che ci è sembrato particolarmente sensibile. A lui abbiamo ribadito che tutti i giorni i poliziotti penitenziari devono fare i conti con le criticità e le problematiche che rendono sempre più difficoltoso lavorare nella prima linea delle sezioni delle detentive delle carceri, per adulti e minori – ha concluso – Occorrono nuove assunzioni nel Corpo di Polizia Penitenziaria, corsi di formazione e aggiornamento professionale, nuovi strumenti come il taser, kit anti-aggressione, guanti antitaglio, telecamere portatili, promessi da mesi, ma di cui non c’è traccia alcuna in periferia. Confidiamo dunque che ora si vedano finalmente fatti concreti”.

Il passaggio sui metodi repressivi non manca mai. Ma forse il problema andrebbe guardato e affrontato da un’altra prospettiva: il carcere così com’è uccide e non rieduca. Quante altre vite devono spegnersi dietro le sbarre prima di capirlo?

Marco Pannella avrebbe detto: “Il crimine più grande è stare con le mani in mano”.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.