Chiara Povelato ha una folta chioma di capelli corvini e delle ciglia lunghe. Sono lunghe come lo sguardo che ci scambiamo appena ci incontriamo fuori dalla porta dello studio fotografico. Chiara è affetta fin da bambina dall’atrofia muscolare spinale (SMA), una malattia rara caratterizzata dalla degenerazione dei motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale. Chiara ama la moda e il suo sogno è diventare una modella, ma in Italia ritiene che sia difficile realizzare questo obiettivo a causa degli standard di bellezza sempre più irraggiungibili, ma anche dell’ipocrisia di molti ambienti glam.

Nonostante i suoi soli 20 anni, la giovane sa esattamente ciò che vuole dire e cosa intende fare. Chiara ha deciso di raccontarsi sui social a 360 gradi per sensibilizzare le persone sulla sua malattia: «Desidero aiutare gli altri e credo che sarei stata più cattiva se non avessi avuto la Sma», mi dice con quelle due bellissime ciliegie che ha al posto degli occhi. La sua è una storia di sofferenza e dolore, di perdite e rinascite, di grandi mancanze, di luci e di ombre, ma anche di forti presenze come quella di suo padre Livio che, dopo averci chiesto se poteva restare nella stanza, dice: “Noi è da tanto che siamo insieme”, lasciando intuire quell’amore raro e autentico che solo pochi sanno dare.

Chiara ci spiega il significato di avere un corpo non conforme in un’epoca in cui siamo costantemente pressati ad essere perfetti, belli e performanti. Chiara vuole abbattere quei tabù e quei luoghi comuni che tutti almeno una volta nella nostra vita abbiamo pensato. Ci dice che l’amore e il sesso appartengono a tutti indistintamente e che il finto buonismo e l’ipocrisia nei confronti di chi è affetto da disabilità non contribuiranno a rendere il mondo un posto migliore, ma anzi lo peggioreranno. Chiara ci dice che bisogna dire no alla falsa gentilezza perché “ciò che conta è la sincerità, sempre”.

Perché hai deciso di esporti sui social?
«Perché sentivo l’esigenza di voler raccontare anche altri aspetti della vita di una persona con disabilità. Spesso siamo noi stessi i primi a etichettarci in tal senso e a vivere come disabili. Da quando sono sui social, ho notato che molte altre ragazze hanno seguito il mio esempio. Vorrei che le persone, attraverso i miei contenuti, comprendessero che la disabilità non è solo sacrificio e dolore. Abbiamo interessi e sogni come chiunque altro».

Mi hai detto di essere un’esteta e un amante del bello. Cosa significa per te la femminilità?
«Secondo me, la femminilità è caratterizzata da amore per se stesse, eleganza e grazia».

E il tuo qual è?
«Vorrei fare la modella professionista, amo la moda in tutte le sue forme, ma purtroppo in Italia ancora non c’è spazio per persone come me. All’estero è normale vedere modelle che non hanno corpi conformi lavorare con professioniste che non hanno disabilità. Penso che ci sia ancora dell’ipocrisia sul tema e che ci siano molti pregiudizi a causa dei rigidi canoni estetici ancora presenti. Hai mai visto una pubblicità con una modella su una sedia a rotelle? Io no».

Non avresti paura degli orari e dello stile di vita stressante a cui è sottoposta una modella?
«Sarei felice di poter viaggiare e conoscere nuove persone, poiché penso che sia un’esperienza molto stimolante. Spesso, tuttavia, sono gli altri a considerare questi fattori come ostacoli per noi. Le nostre ambizioni non sono inferiori a quelle degli altri».

Quali sono stati fino a ora i riscontri che hai ricevuto sui social?
«Da parte del genere femminile ho riscontrato molte esperienze positive, ma c’è ancora una presenza significativa di maschilismo da parte del genere maschile. Spesso, sotto i miei post sui social, trovo commenti sessisti che cercano di complimentarsi riguardo al mio aspetto fisico. Tuttavia, questi complimenti non mi interessano poichè vorrei essere apprezzata per le mie qualità personali e non solo per il mio aspetto esteriore».

Pensi che ad oggi la disabilità venga trattata in maniera corretta?
«No. Di solito, quando un disabile viene invitato negli studi televisivi, viene chiamato solo per parlare della sua storia e della sua disabilità e non per discutere del proprio lavoro o delle proprie passioni e questo è molto triste».

C’è del pietismo?
«Percepisco che ci sia molta falsa gentilezza intorno a me, io preferisco la sincerità, sempre. La colpa talvolta è anche delle persone che circondano il disabile. C’è molta protezione, e capisco il motivo. Tuttavia, bisogna capire che abbiamo bisogno di autonomia e libertà. Non potremo essere visti come persone normali se chi ci vuole bene è il primo a negarcelo. Io ho la fortuna di avere un papà eccezionale, che nonostante talvolta non sia d’accordo con le mie scelte, è sempre al mio fianco. Ma non è così per tutti».

Quali sono le maggiori difficoltà che incontri nelle relazioni umane?
«Il mio ostacolo maggiore è la comunicazione. Spesso trasmetto un’immagine di durezza e gli altri possono pensare che io sia una persona “stronza”. Metto le persone in soggezione, anche se non me ne rendo conto. In realtà, sono una persona buona che tende a fidarsi facilmente degli altri, ma esteriormente sembro distaccata e altezzosa».

Hai mai avuto una relazione?
«Sì, ma non era quello giusto».

Quali sono i pregiudizi che più ti infastidiscono?
«Sono tanti. Ad esempio non sono d’accordo con l’idea che un disabile debba stare necessariamente con altre persone disabili. Personalmente, non sopporto i centri diurni perché spesso sono frequentati solo da persone come me. Purtroppo, si tende ad attribuirci tutti gli stessi problemi e le stesse esigenze, commettendo così un grave errore. Mio padre, in buona fede, una volta mi iscrisse a un corso di teatro per persone disabili, ma non mi ci trovai affatto a mio agio perché eravamo tutti diversi».

Un altro tema di cui si parla poco è quello legato alla sessualità. C’è sufficiente informazione corretta e precisa a riguardo?
«No. Infatti vorrei anche far capire che le persone con malattie come la mia possono vivere relazioni amorose e sessuali come tutti gli altri. Molte persone si nascondono, restano a casa e rinunciano a sentirsi attraenti. Ho un’amica con la Sma che ha avuto un figlio con un ragazzo non affetto da disabilità, e ce ne sono tante altre come lei».

In alcuni paesi è presente la figura dell’assistente sessuale. In Italia ancora no. Credi sia giusto?
«Penso che sia sbagliato e svilente, se qualcuno ti ama, dovrebbe amare anche il tuo corpo».

Ti piacerebbe creare una famiglia?
«Sì, non ora, ma un giorno la vorrei. Spesso la gente pensa che sia egoista fare un figlio nelle mie condizioni. Tuttavia, se si ha un supporto alle spalle, credo che si possa affrontare anche questa sfida. Le difficoltà maggiori si presentano all’inizio, ma quando il bambino cresce, sarà in grado di comprendere la situazione e perché no di essere anche da supporto».

C’è qualcosa a cui tieni particolarmente e che vorresti dirmi?
«Se non avessi avuto la Sma, sarei stata una persona più cattiva. La malattia mi ha reso una persona migliore e più sensibile. Credo che l’amore sia la chiave di ogni cosa. L’amore è tutto e credo che non si debba giudicare senza motivo il prossimo».

Cosa vorresti fare da ora in avanti?
«Vorrei diffondere la mia voce e la mia immagine affinché gli altri disabili non sopravvivano soltanto, ma che possano vivere pienamente la loro vita, a 360 gradi».

Chiara Povelato non c’è più, e purtroppo, non potrà leggere questa intervista. Vorrei che storie come queste diventassero notizia, non solo per il dolore che raccontano, ma soprattutto per l’amore che trasmettono e donano a ognuno di noi.

Giorgia Petani

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