Chi conosce i meccanismi di funzionamento del pianeta giustizia sa che l’attività giurisdizionale non è affidata solamente alla magistratura togata, ma anche a quella onoraria, vale a dire una magistratura che esercita funzioni giudiziarie senza avere superato il concorso e, quindi, “non di carriera”. È a quest’ultima che nella prassi applicativa sono delegate la cura e la risoluzione di una significativa percentuale del contenzioso esistente, non solo nella delicata materia penale. Limitando l’angolo di osservazione a detto settore, sono migliaia i processi definiti, in primo grado, esclusivamente da magistrati onorari, requirenti e giudicanti, e ciò non solo davanti al Giudice di pace, ma anche davanti al Tribunale Ordinario in composizione monocratica.

Processi, si badi, che riguardano lo scrutinio di fattispecie di reato eterogenee, alcune delle quali tutt’altro che bagatellari (si pensi, ad esempio, alla ricettazione punita fino a 8 anni). Nelle aule di giustizia, infatti, il progressivo aumento del contenzioso e la cronica carenza di organico hanno determinato la concentrazione dello spazio di azione dei magistrati “di carriera” per lo più nei Collegi e, quanto al rito monocratico, nei processi provenienti dall’udienza preliminare. Del pari, anche i pubblici ministeri togati assicurano la presenza esclusivamente in udienza preliminare e in seno al Collegio, delegando (quasi) interamente ai VPO l’accusa davanti al Giudice monocratico, salvo qualche eccezione legata alla rilevanza del singolo processo.

Il ruolo della magistratura onoraria

La magistratura onoraria, dunque, contribuisce stabilmente a formare l’intelaiatura necessaria, anzi indispensabile per il funzionamento della macchina giudiziaria. Eppure, non possono tacersi perplessità operative, con le quali sarebbe stato necessario confrontarsi. Oggi, infatti, la magistratura onoraria ha ottenuto una stabilizzazione di ruoli e di stipendio, da tempo agognata. Tuttavia, la riforma non pare essersi fatta carico delle criticità e delle aporie segnalate nel tempo e sul campo dalla coesistenza dei due corpi. Preliminarmente, è necessario evidenziare come la magistratura onoraria, proprio perché “altra” rispetto a quella professionale, è vista da quest’ultima come entità “minore”, non di pari livello. Una magistratura alla quale delegare gli affari “di scarto”, che la componente togata non intende o non riesce a trattare, spesso coincidenti con le attese di giustizia che incrociano le esistenze dei poveri e degli ultimi.

La disparità tra magistrato onorario e magistrato togato, poi, si riflette nella prassi quotidiana soprattutto sul versante dell’autonomia e dell’indipendenza del primo rispetto al secondo. Non è infrequente, infatti, imbattersi in VPO non autonomi in udienza, perché soggetti alle direttive vincolanti ricevute dai P.M. togati (non solo nelle richieste di pena). O in VPO “deboli”, non sufficientemente attrezzati a (o tali percepiti dal Giudice quanto alla capacità di) rappresentare l’accusa, e così di fatto sostituiti nelle funzioni dal medesimo giudicante che, in tal modo, finisce per smarrire la propria posizione di terzietà, scolorendola in un’opera di supplenza nel ruolo di parte. Ed ancora, difficilmente si può negare il diverso peso specifico del giudice onorario, ogni qual volta sia chiamato a comporre il Collegio, rispetto a quello del giudice togato, con evidente riflesso sul livello di autonomia e di indipendenza espresso nel corso del giudizio e nella formazione delle decisioni da deliberare collegialmente, da ultimo la sentenza. Senza contare, poi, che la riforma Cartabia, nell’affidare funzionalmente la fase predibattimentale ad un magistrato togato, pone ulteriori interrogativi in caso di rinvio a giudizio, implicante una prognosi ex actis di ragionevole probabilità di condanna. Poiché una quota significativa di tali processi è destinata alla cognizione del GOT, si può sostenere che quest’ultimo sia insensibile al giudizio prognostico formulato dal togato e che, quindi, la decisione predibattimentale non rifletta conseguenze sull’autonomia dell’onorario? Infine, discorso a parte (e lungo) meriterebbe l’analisi di qualità sulla risposta alla domanda di giustizia fornita dai Giudici di Pace.

Di fronte a simili aporie legate all’asimmetria funzionale tra i due “corpi”, forse il legislatore avrebbe dovuto affrontare le ambiguità del “reclutamento parallelo”, vieppiù alla luce della stabilizzazione economica (non marginale, per il tempo pieno) e di funzione che la Legge n. 51 del 2025 ha determinato. Forse sarebbe (stato) necessario responsabilizzare di più la magistratura onoraria, potenziandone la formazione, fortificandone i profili di indipendenza e di autonomia e così aumentando il prestigio della stessa. In mancanza, occorre chiedersi se detto “doppio binario”, così congegnato, sia davvero utile e funzionale in termini qualitativi, rispetto al servizio da rendere al cittadino, o non rischi di risolversi, piuttosto, nell’ennesima soluzione efficientista, tesa solamente a favorire lo smaltimento quantitativo dell’eccessivo carico dei ruoli, destinato a non placarsi a causa dell’ossessiva e ipertrofica produzione legislativa. Una riflessione, questa, che dovrebbe estendersi anche agli effetti prodotti dalle croniche carenze di organico nelle fila dei magistrati di carriera, se è vero, com’è vero, che è sempre più frequente l’assegnazione di giovani togati, a distanza di poco tempo dal superamento del concorso – sicuramente dotati di adeguato corredo teorico, ma non altrettanto attrezzati sul versante dell’esperienza – in Uffici delicati (si pensi al GIP e al Tribunale del riesame) nei quali è alto il peso e forte la responsabilità di decidere della libertà della persona. Anche sotto questo profilo, la terapia legislativa contenuta nella Legge 51 sembra ispirata a mere logiche sindacali piuttosto che all’esigenza di migliorare la qualità del servizio nel pianeta giustizia. Insomma, una cura non adatta ad incidere sullo stato di salute del corpo giudiziario, perché al fondo incapace di agire sulle cause che ne determinano le disfunzioni.

Francesco Iacopino

Autore

Avvocato penalista