Italia tra incudine e martello
Mandato d’arresto Netanyahu, un governo, tre posizioni: Salvini, Crosetto e Tajani in disaccordo
Sul mandato d’arresto a Bibi la Cpi va rispettata, ha sbagliato o non esiste. Dipende a chi si chiede. Ma di sicuro Israele non è come Hamas
Il mandato d’arresto che la Corte Penale internazionale ha spiccato contro Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, è destinato a incrementare l’alone di dibattito tanto sul fronte internazionale quanto si quello nostrano. La questione è delicata e incide non solo sulle relazioni internazionali tra Israele e i suoi partner, ma crea inevitabilmente ulteriori tensioni in un clima internazionale di per sé rovente su tutte le angolazioni di quella che il Sommo Pontefice ha definito “la guerra mondiale a pezzi”. Pezzi che come tessere di un mosaico possono ricomporsi in uno scenario quasi apocalittico.
La decisone della Corte penale internazionale ha trovato in Italia l’immediata pronta risposta del Ministro Salvini. Per il vicepremier “se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri”. Una dichiarazione netta e che non lascia spazio ad interpretazioni, più diplomatica l’altro Vicepremier, il Ministro degli Esteri Tajani, che tenendo a specificare che “noi sosteniamo la Cpi ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non un ruolo politico”. Soggiungendo poi quasi a volere dire che mal comune mezzo gaudio, “valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda”. Le parole più esplicite restano quelle del Ministro Crosetto: “Ritengo che la sentenza della Corte penale internazionale sia sbagliata ma se Netanyahu e Gallant venissero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale”, il Ministro della Difesa ha poi voluto specificare la sua posizione, sottolineando il punto critico della decisione della Corte: “Penso che hanno fatto una sentenza che ha messo sullo stesso piano il presidente israeliano e il ministro della Difesa con chi ha organizzato e guidato l’attentato che ha massacrato e rapito persone in Israele. Cioè quello per cui è partita la guerra. Sono due cose completamente diverse”.
E mentre in Ungheria Orbán invitava Netanyahu in aperta sfida alla Corte, le opposizioni hanno chiesto l’intervento della Premier. Giorgia Meloni ha voluto precisare che “un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas”. Una posizione con la quale la Meloni ha voluto ripristinare l’ordine delle cose, e delle ragioni storiche di determinate azioni che con troppa facilità vengono omesse. Precisando, “approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato alla sentenza. Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica. La presidenza italiana del G7 intende porre il tema all’ordine del giorno della prossima ministeriale Esteri. Tutta la maggioranza si trova compatta sulla posizione della Premier. Anche Lupi, leader della quarta gamba della coalizione, si è detto in linea con la posizione del governo, e come Meloni ha voluto porre l’accento sulla necessità di non paragonare “un’organizzazione terroristica, al governo dell’unico Stato democratico della Regione”.
L’Italia si trova tra l’incudine e il martello, tra l’alleato Israele e la Corte Penale internazionale, tra la verità della storia e l’opinione ideologicamente espressa in un dispositivo che ha poco di giuridico e tanto, troppo di politico.
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