E ora, cosa si inventeranno le vedove di Mani pulite, che sulla saga del moralismo a senso unico hanno costruito le loro carriere? Tre decenni dopo, Giovanni Pellegrino racconta in dettaglio la rete di convenienze e omertà che assecondava il progetto di onnipotenza di una parte della magistratura, assecondata dalla grande stampa. L’obiettivo della casta togata non era più perseguire i reati ma farsi paladini del Bene pubblico. I codici del diritto furono in breve travolti dalla nuova religione: la redenzione della “Repubblica fondata sulle tangenti” (by Francesco Saverio Borrelli). Da magistrati ad ayatollah, insomma. I partiti di governo erano ormai un intralcio al disegno palingenetico. “Buttare all’aria il mondo” era il dichiarato proposito di Borrelli. E se il fine è questo, ci sta che gli imputati “non li incarceriamo per farli parlare, ma li scarceriamo se parlano”. O “li mettiamo dentro e buttiamo la chiave” di Antonio Di Pietro. O “non esistono innocenti ma colpevoli non ancora scoperti” di Piercamillo Davigo, mirabile sintesi di distorsione giuridica ribadita in tempi non lontani.

“Mani Pulite non se la prenderà con noi”

Cosa diranno i profeti della folla grondante di monetine di fronte ai “segreti” che Pellegrino rivela a Francesco Verderami? Dai retroscena di quegli anni emerge che l’intento demolitorio della politica e delle garanzie aveva profonde complicità. Cosa c’è infatti di diverso fra il verbo borrelliano e il Massimo D’Alema che dice a Pellegrino “questi di Milano stanno facendo una rivoluzione, e le rivoluzioni si sono sempre fatte con le ghigliottine e i plotoni d’esecuzione. Perciò cosa vuoi che sia qualche avviso di garanzia o qualche mandato di cattura di troppo?”. Il senatore leccese gli fa notare che se il potere giudiziario si percepisce come illimitato, anche il Pci-Pds pagherà un prezzo. Ma Massimo si sente al sicuro: “Luciano mi ha detto che possiamo stare tranquilli, perché Mani Pulite non se la prenderà con noi”.

Non firmo i domiciliari e vado in vacanza…

Luciano era Violante, il celebre “piccolo Vichinsky” come lo definiva Francesco Cossiga in onore del procuratore dell’URSS staliniana. Il cerchio si chiude. Il pool milanese, racconta ancora Pellegrino, sfiorerà il partito ex comunista solo per caso, con Tiziana Parenti che nell’estate 1993 si trova praticamente da sola e prende l’iniziativa di indagare il tesoriere Pds Marcello Stefanini. Già, perché nell’estate 1993 gli eroi manipulitisti erano tutti a godersi le meritate ferie. Al presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, che si era fatto 136 giorni di prigionia, il giudice Salvini applicò la dottrina Borrelli-Di Pietro: non ci hai detto abbastanza? E io non firmo i domiciliari e me ne vado in vacanza. “Signor giudice, le stelle sono chiare, per chi le può vedere magari stando al mere”, cantava Roberto Vecchioni. Gabriele Cagliari, invece, il 20 luglio si soffocò infilando la testa in un sacchetto di plastica, dopo aver scritto alla moglie una lettera straziante. Qualche mesetto dopo la lezioncina di leninismo a Pellegrino, D’Alema già aveva cambiato idea. Ma taceva, sia in pubblico sia dentro al suo partito: “Certi concetti non posso esprimerli io – diceva a Giovanni Pellegrino -, altrimenti Occhetto mi brucia. Parlane tu ogni tanto. Ti coprirò le spalle”. Naturalmente non gliele coprì.

La finta rivoluzione italiana…

“Questo di tanta speme oggi ci resta”. Con toni vagamente foscoliani, nel 2013 Borrelli sentenziò: “Devo chiedere scusa per il disastro seguito a Mani Pulite, non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per finire in quello attuale”. Eh sì. il dramma della finta rivoluzione italiana è che non finisce ancora, non finisce mai. La magistratura irrompe come un bulldozer senza conducente nei casi più disparati. La politica che riforma la giustizia è sempre per definizione colpevole di attentato all’indipendenza della magistratura. Le intercettazioni a tappeto dilagano, così come il giochino omicida di far trapelare sulla stampa particolari di nessuna rilevanza penale ma di enorme potenza sputtanante. Insomma, anche a noi cittadini, di tanta speme resta solo il dubbio se per caso le guardie non siano spesso più pericolose dei ladri.

Sergio Talamo

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