Era il 15 luglio del 2020 e Mario Paciolla veniva ritrovato morto, impiccato, con dei tagli sulle braccia, nell’abitazione dove viveva, in Colombia. Sono passati due mesi. Due mesi di sofferenza, misteri, indagini. Spesso e volentieri è stato citato Giulio Regeni, il ricercatore friulano torturato, ucciso, abbandonato in un fosso sulla strada tra Il Cairo e Alessandria d’Egitto nel gennaio 2016. Un caso ancora irrisolto.

IL CASO – Si è scritto e si è urlato da più parti: Mario Paciolla non deve diventare un nuovo Giulio Regeni. Ma a due mesi dal ritrovamento del suo corpo a San Vicente del Caguán, dove lavorava nella missione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare l’attuazione dell’accordo di pace tra il governo e le Farc, firmato nel 2016 dopo 40 anni di guerrilla; il caso presenta delle terribili analogie.

E quindi un intreccio di personaggi ambigui, misteri irrisolti, quesiti senza risposta, un Paese dilaniato da uno e più conflitti. E quindi il dettaglio cardine, emerso da un’inchiesta de El Espectador: il dossieraggio cui Paciolla aveva collaborato a proposito di un bombardamento dell’esercito ai danni dell’accampamento del comandante dissidente delle Farc Rogelio Bolívar Córdova, detto Gildardo El Cucho, nell’agosto 2019, nel quale erano morti sette ragazzi tra i 12 e i 17 anni. Il documento, sfruttato a fini politici, avrebbe contribuito a causare le dimissioni del ministro della Difesa Guillermo Botero. Gli autori, di quel documento, non sarebbero stati protetti adeguatamente. Perciò il 33enne aveva mostrato segni di ansia a partire dal novembre 2019, mentre era in vacanza a Napoli, e poi deciso di tornare in Italia, dopo i ripetuti scontri con la missione, il 20 di agosto. “Voglio dimenticarmi per sempre di questo Paese. La Colombia non è più sicura per me. Non voglio mai più mettere piede né in Colombia né all’Onu”, ha scritto Paciolla in una chat con un parente.

GLI INTERROGATIVI – Ancora troppi i lati oscuri della vicenda: il lenzuolo troppo leggero per quel solco sul collo; la quantità enorme di sangue nell’appartamento; i tagli sulle braccia; gli effetti personali scomparsi – il mouse, insanguinato, è ricomparso nella sede dell’Onu a Bogotá; il ruolo del direttore per la sicurezza della missione a San Vicente Christian Leonardo Thompson Garzón; l’appartamento ripulito; la segatura sul cadavere; l’autopsia colombiana che non ha impedito alla Procura di Roma di ri-classificare il caso da suicidio a omicidio.

L’IMPEGNO – Sull’affaire Paciolla hanno scritto pagine di inchieste e interviste diverse testate italiane; la giornalista Claudia Julieta Duque, che conosceva Mario, ha indagato senza sosta portando alla luce dettagli sconosciuti; una rete che invoca giustizia per il cooperante napoletano non ha mai smesso di fare pressing. Insomma, Mario è tutt’altro che dimenticato. Ma evidentemente non è abbastanza: e qui l’appello va sì ai media, ma soprattutto alle autorità. Proprio l’oblio nel quale rischiano di scivolare le storie come quella di Paciolla e di Regeni deve far presente quanto sia fondamentale alimentare costantemente la fiamma della verità e della giustizia.

Antonio Lamorte

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