Un anno dalla morte
Massimo Bordin, voce della democrazia contro le follie anticasta
Aveva per alcuni decenni commentato ogni mattina nella rubrica “Stampa e Regime” dai microfoni di Radio Radicale le cronache della partitocrazia italiana e le successive sempre più gravi degenerazioni che i seguenti governi di centrodestra e di centrosinistra avevano inflitto alla nostra democrazia. Nell’ultimo anno della sua vita Massimo Bordin ha dovuto, nella stessa rubrica, e con la stessa graffiante ironia, registrare l’ulteriore degrado delle istituzioni provocato dalla vittoria dei sovranisti e populisti del Movimento 5 Stelle e della Lega nella sua versione salviniana.
E in uno dei suoi ultimi interventi pubblici, in una manifestazione a Piazza Venezia a Roma, ha dovuto difendere la sua Radio Radicale dalle minacce di non rinnovarle la convenzione, senza la quale le sarebbe stato impossibile continuare ad assicurare quel servizio pubblico che dal lontano 1976 ha sempre accompagnato ogni aspetto della nostra vita politica e parlamentare. Quell’intervento viene spesso ricordato per la definizione di “gerarca minore” affibbiata a un dirigente dei 5 Stelle che si era prodigato negli attacchi a nome dell’intero movimento. Noi preferiamo ricordarlo per un altro motivo.
Massimo disse che l’accanimento contro la sua Radio, era solo un’altra manifestazione dell’antiparlamentarismo che, in nome di un confusionario quanto demagogico appello alla democrazia diretta, contraddistingue le posizioni del movimento e della società dei Casaleggio che lo sostiene e lo condiziona. Chi svaluta e nega, fino a volerla cancellare, la libertà dei parlamentari da “ogni vincolo di mandato”, garantita dalla Costituzione, svaluta e nega l’autonomia del Parlamento come momento centrale dell’esercizio della sovranità popolare e, proprio per questo, è comprensibile che voglia cancellare la possibilità di conoscenza diretta da parte dell’opinione pubblica e dell’elettorato dei dibattiti che avvengono in Parlamento: il presupposto necessario, per dirla con Luigi Einaudi, del “conoscere per deliberare”.
Chi sa come avrebbe commentato, nell’epoca del coronavirus, i subdoli tentativi di emarginare e silenziare il Parlamento, fino a renderlo, fra una conferenza stampa e un decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, quasi un organo superfluo.
Ci manca il Massimo Bordin di “Stampa e Regime” con i suoi commenti della stampa quotidiana. Ci mancano, con il suo garantismo, i suoi commenti ai processi e alle tante inchieste giudiziarie. Ci manca il Massimo Bordin delle sue interviste domenicali a Marco Pannella. E ci manca la sua rubrica quotidiana su Il Foglio. “Bordin line” era un titolo quanto mai azzeccato nell’alludere al suo essere un giornalista anomalo ed, anche, un radicale anomalo. Amava ricordare di sé stesso che era nato alla politica come trozkista: può sembrare un percorso lungo, impervio quello che lo ha portato dal trozkismo prima alla redazione e poi alla lunga direzione di Radio Radicale.
Ma c’era, crediamo, un terreno naturale, di attrazione e di intesa: e non era tanto o soltanto il terreno negativo dell’antistalinismo quanto quello positivo della laicità e del libertarismo, dello spirito critico, dell’intransigenza ed anche dell’apertura al dialogo nei confronti del diverso, perfino quando se ne offrano le opportunità dell’opposto.
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