La notizia, bellissima, ci giunge nelle ore in cui in casa radicale abbiamo il cuore straziato per la scomparsa di un militante storico come Lucio Bertè. Proprio stamattina ricordavo la disobbedienza civile (cessione gratuita di hashish) che insieme facemmo in Piazza della Scala a Milano ben 22 anni fa. Fummo assolti a distanza di due anni, insieme a Marco Pannella, “per non aver commesso il fatto”. Decine di disobbedienze civili per le cessioni di hashish o per le coltivazioni di cannabis finite in modo diverso a seconda della città in cui venivano organizzate o, addirittura, a seconda del collegio giudicante del medesimo tribunale a cui venivano assegnate: stesse condotte, ma sentenze diverse; insomma, il caos giurisprudenziale.

Oggi, finalmente, le sezioni unite della Cassazione mettono un po’ d’ordine e, ancora una volta, questa ragionevolezza non giunge dal Governo o dal Parlamento, ma dalle giurisdizioni superiori. E, ancora una volta, Marco Pannella ha avuto ragione quando ha suggerito, già molti anni fa, di adire alla Corte Edu, alla Corte Costituzionale, alla Corte di Cassazione fino al Comitato dei diritti Umani dell’ONU per battere l’inerzia del legislatore, laddove siano violati diritti umani fondamentali. Ricordo quando in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ho cercato di far comprendere ai miei colleghi parlamentari l’incongruenza della legge che punisce penalmente chi coltiva marijuana per uso personale, mentre esclude dalla sanzione penale chi – sempre per uso personale – si rifornisce al mercato illegale, cioè quello gestito dalla criminalità più o meno organizzata. Non ci fu niente da fare! La proposta di legge fu accantonata. Del resto, nemmeno i ripetuti pronunciamenti a favore della legalizzazione della cannabis da parte della Direzione Nazionale Antimafia sono serviti a smuovere le diverse maggioranze che si sono succedute nelle ultime legislature: tutti a riempirsi la bocca di “lotta alla mafia”, ma nessuno capace di fare la cosa che veramente darebbe un colpo micidiale alle cosche mafiose e ai cartelli dei narcotrafficanti: la regolamentazione della produzione, della commercializzazione e dell’uso delle sostanze stupefacenti, a partire dalla cannabis.

Le sentenza della Cassazione è storica perché abbatte un muro che sembrava impossibile scalfire: quello per il quale chi coltivava per per sé qualche piantina di marijuana metteva in pericolo il bene giuridico della salute pubblica perché aumentava la provvista in circolazione di materia prima e quindi si creavano potenzialmente più’ occasioni di spaccio di droga. Questo tabù è caduto, ma attenzione, non stiamo parlando ancora di legalizzazione; per arrivarci, occorre che il legislatore prenda coscienza e allontani da sé quelle ipocrisie che lo hanno paralizzato fino ad oggi lasciando colpevolmente in balia del mercato criminale almeno 5 milioni di consumatori solo in Italia, intasando tribunali e galere, distogliendo le forze dell’ordine da interventi più significativi che quelli di dare la caccia alle piantine coltivate sul terrazzo.

Le riviste scientifiche più importanti del mondo ci dicono che l’alcol è molto più pericoloso della cannabis se prendiamo come parametri danno fisico, dipendenza e danno sociale. Uno studio condotto nel 2018 da David Nutt dell’Università di Bristol, pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Lancet” ha stilato la classifica della 20 droghe più pericolose mettendo ai primi due posti Eroina e Cocaina, al quinto posto l’alcol e all’undicesimo la cannabis. Pur essendo molto più dannoso della cannabis, in Italia è possibile coltivare la vite e produrre vino “senza autorizzazione”, l’importante è che si tratti di uso proprio, dei propri familiari e dei propri ospiti e a condizione che i prodotti non siano oggetto di alcuna attività di vendita. Io mi auguro che questa sentenza abbia abbattuto un altro tabù, quello dell’ignoranza generata dell’ostracismo dei media nei confronti di qualsiasi ipotesi di legalizzazione: “Il proibizionismo – diceva Pannella più di vent’anni fa – ha necessità vitale del flagello dell’ignoranza”. Questo spiraglio di luce che si intravede lo dedico a lui, a Lucio Bertè, a Laura Arconti (anche lei ci ha lasciato in questo 2019), e a tutti i nonviolenti disobbedienti del Partito Radicale, a cominciare dai malati come Andrea Trisciuoglio, che devono ancora “sbattersi” per consentire a tutti coloro che ne traggono beneficio per la loro patologia di potersi curare con la cannabis.