La polemica
Salvini o è ignorante o in mala fede, sulla canapa solo fake news

La strumentalizzazione che da destra si fa della coltivazione e della commercializzazione della canapa sativa (cioè non contenente principio attivo stupefacente) è una totale distorsione della realtà giuridica, scientifica, medica ed economico-produttiva. Va detto molto chiaramente – infatti e prima di tutto – che la canapa prodotta e venduta legalmente in Italia nulla ha a che fare con le sostanze stupefacenti. Che non è stata operata negli anni alcuna modifica alla legge sulle droghe, che sono e restano illegali.
Che la regolamentazione del settore, avvenuta con la legge n. 242/2016, è un provvedimento che ha a che fare con l’agricoltura e null’altro. Da queste verità bisogna partire se si vuole parlare di canapa. Non introducendo bugie e mistificazioni che utilizzano – del tutto impropriamente – la parola “droga”. La canapa sativa non è una droga! Punto. O si parte da qui, o si finisce inevitabilmente fuori strada. Ma perché allora tanto discutere su un qualcosa che, alla prova dei fatti, è ben diverso da come viene raccontata dai megafoni della destra?
Perché ancora una volta c’è chi pensa soltanto alla becera propaganda, per di più basata su fake-news, invece di aiutare il tessuto imprenditoriale del nostro Paese a crescere e a rafforzarsi. In occasione della discussione sulla manovra di bilancio, ho dovuto ascoltare, appena pochi giorni fa, Matteo Salvini nell’Aula del Senato parlare addirittura di “droga di Stato”. Un intervento che ha dimostrato tutta l’ignoranza del soggetto sulla materia. O/e la sua assoluta malafede. Uno schiaffo a coloro che faticosamente, con grande passione e con notevoli investimenti, anche in innovazione tecnologica, fanno impresa nell’agricoltura. Perché è proprio questo – e soltanto questo – il tema. Stiamo parlando di una realtà con circa 10mila addetti, 1500 aziende attive e un fatturato annuo di 150 milioni di euro. Aziende agricole di piccole e medie dimensioni, oltre a piccole attività commerciali – per lo più gestite da giovani – che hanno dato nuovo vigore – oltre ad aver creato lavoro – a una produzione storica e tradizionale di tante zone del nostro Paese.
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