Giordano Bruno Guerri, storico, saggista e giornalista è tra i più noti studioso del ventennio fascista e di Gabriele D’Annunzio. La prossima settimana uscirà la quinta ristampa del suo “Benito, Storia di un italiano”, per Rizzoli. Gli abbiamo chiesto un ritratto di Giorgia Meloni, “donna forte”, del suo modello di potere e di comunicazione.

Trump la elogia davanti a Macron, gli indiani condividono i suoi meme, piace a Zelensky, a Milei, ai sauditi… cosa affascina così tanto di Giorgia Meloni?
«Intanto, è brava. E non è un elemento di secondo piano. Ha rivelato una capacità, nel mondo internazionale, che nessuno poteva prevedere. Sa trovare alleanze, costruire coalizioni, creare occasioni. È bravissima nel trovare spazi».

Ma c’è un elemento di empatia personale che la rende più amichevole agli occhi dei leader?
«È sorridente, allegra, spiritosa. Parla bene inglese, ma senza spocchia. Dice: il mio maestro è stato Michael Jackson. E poi è piccola. I piccoli fanno tenerezza, sono simpatici. Ma è un dettaglio. La sua forza sta nell’energia».

Nella sua carica vitale?
«È un capo. Il suo vitalismo mancava dai tempi di Matteo Renzi, che però finiva anche per irritare qualcuno. Lei è anche semplice. Almeno in apparenza».

Questa carica vitale si trasmette, gode di proprietà transitiva?
«Certo. E forse anche questo piace ai leader che la invitano, la blandiscono. L’energia passa sempre, tra le persone. E la sua arriva anche ai più smorti, si ravvivano anche i suoi interlocutori».

Lei che ha studiato d’Annunzio, ci ritrova un po’ di quella sua energia vitale?
«Parliamo di figure incomparabili. Giorgia Meloni è figlia del suo tempo, è giovane, è donna. Ma l’energia è quella. Parlando di d’Annunzio metterei in luce l’oratoria. In questo lei è perfetta per i tempi».

Non è ricercata come il Vate. Lui coniava neologismi, inventava una neolingua…
«Lei è semplice e diretta. E questo la rende efficace agli occhi di tutti. Delle cancellerie internazionali e degli elettori».

C’è un suo modo di rappresentare il potere, diverso dagli altri?
«Sì, un modo immediato. Senza le pinzellacchere, gli apparati. Ma fa capire che è lei che decide, che comanda. E anche questo funziona, nella comunicazione non mediata di oggi».

Anche grazie ai social: va in video per informare su di sé, cito il caso dell’avviso di indagine della Procura di Roma sul caso Almasri, prima ancora che la notizia circoli…
«Esattamente. È diventata un personaggio internazionale, una leader mondiale anche per la sua capacità di stare sull’onda, anche arrivando prima delle notizie. Una che tutti, amici o nemici, sanno di dover ascoltare e interpellare».

Vogliamo interpellare le categorie del Novecento, è una leader di destra, o della post-destra?
«È la leader della nuova destra che nasce dalla sintesi tra destra conservatrice, sovranista, liberale. Sta inventando il melonismo. Con una sua estetica e una sua pratica».

Rispetto ai personaggi storici della destra, Meloni è comparabile con qualcuno?
«Ha tratti peculiari propri che non si ritrovano in nessuno, ma il carisma e la capacità oratoria che ricorda un po’ Giorgio Almirante. Da cui però la separa un mondo. Almirante portava dietro di sé il fardello del fascismo di cui Meloni è del tutto libera».

E rispetto a Fini e Berlusconi?
«Fini è stato un leader freddo, non suscitava entusiasmi. Berlusconi era un leader caldo, che invece gli entusiasmi li suscitava. Ma aveva il peso di essere ricchissimo, di controllare le televisioni, di avere la passione per le donne… finiva per essere istituzionalmente indigesto. Lei davvero non è ricattabile, non le si trovano elementi di ricatto».

Le rimproverano – e per noi invece è un punto a favore – di aver cambiato linea su Putin, sull’Ucraina…
«Si chiama realismo. Ed è la dote dei leader. Il paese si governa a seconda delle necessità e non delle promesse elettorali. Certo, se possibile bisogna mantenerle, ma può non essere possibile».

Veniamo da anni di diplomazia formale, oggi l’amicizia tra i leader conta?
«Sta tornando a contare. Ricordo le risate in pubblico tra Eltsin e Clinton, l’amicizia tra Clinton e Tony Blair, solo per fare un esempio. Sembravano amici di vecchia data. Poi è cambiato tutto, con l’11 settembre tutti hanno assunto un contegno più freddo. Lei sa fare la populista senza scadere negli eccessi, senza strafare. Ecco perché dico che è un personaggio innovativo, che ha inventato un genere. Se non capitano incidenti, rimarrà al potere a lungo. Anche perché, come dicevo, non è ricattabile: la sua relazione con il potere è quella di un capo. Non le interessa il denaro, ma la capacità di guida di una comunità che è sempre più larga».

Scusi Guerri, ma nel suo ultimo libro, “Benito” lei non dice che agli italiani piace essere guidati da un uomo forte?
«Sì, ma va bene anche una donna forte. I tempi sono cambiati».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.