Se l’approccio alla questione Ucraina da parte di Trump deve inquietare, quello verso il Medio Oriente sembra essere molto più intelligente. La strategia del presidente Usa ricorda le parole dell’ex ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan, quando disse: “Dobbiamo essere percepiti dal nemico come un cane pazzo, troppo pericoloso per essere disturbato“. In effetti, le sparate di The Donald sembrano perfette per il Medio Oriente, dove solo le sue mosse imprevedibili possono costringere gli Stati arabi a rivedere le loro posizioni e ad agire in modo più produttivo.

Già durante la sua prima presidenza, l’inquilino della Casa Bianca seppe meritoriamente ribaltare il mantra ideologico secondo cui “la questione israelo-palestinese è il problema del Medio Oriente”. Un’affermazione ripetuta continuamente, nonostante l’area vedesse dominare dittature spietate che hanno portato – tra l’altro – all’implosione del Libano, alla decennale guerra in Siria, alla guerra turca ai curdi, all’Isis, al regime teocratico iraniano, per non parlare del disastro in Iraq. Si è passati all’approccio più realistico del “risolvere la questione arabo-israeliana è la premessa per affrontare quella palestinese”.

I vecchi Accordi di Abramo

Anche per questo nacquero gli Accordi di Abramo, che hanno segnato non solo un disgelo diplomatico tra Israele da una parte, ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan dall’altra (senza dimenticare l’Arabia Saudita, che formalmente non aderisce agli accordi ma l’anno scorso ha difeso Israele dai missili iraniani), ma anche un embrione di soluzione all’enorme questione teologica del rapporto dell’Islam nei confronti dell’ebraismo. Un tema raramente affrontato da tanti sedicenti esperti di Medio Oriente, che continuano a pensare che la questione israelo-palestinese sia solo un problema di territori.

L’alternativa

Anche oggi l’approccio di Trump sembra rivelarsi corretto. Per mesi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sostenuto da Biden) ha sollecitato i paesi arabi a prendere in mano la gestione di Gaza, senza successo. In questo contesto, il “piano pazzo” lanciato dal repubblicano per l’acquisizione di Gaza e la migrazione della sua popolazione soprattutto in Egitto e Giordania, ha suscitato orrore e preoccupazione nel mondo arabo-islamico. Anche nelle istituzioni internazionali, dalla Ue all’Onu, la sola idea di una tale operazione ha prodotto angoscia e smarrimento. Ma questa mossa folle ha avuto un effetto immediato: alcuni Stati arabi, spaventati dalle possibili conseguenze del piano di Trump, si sono sentiti costretti a passare dalla sterile protesta contro Israele alla proposta di un’alternativa. Cosa che mai avevano fatto durante la presidenza Biden. Non è un segreto che i governi di Giordania ed Egitto abbiano già grandi problemi interni a gestire l’organizzazione estremista dei “Fratelli musulmani”: per questo vedono con terrore il potenziale arrivo a casa loro di tanti membri e simpatizzanti di Hamas, sezione palestinese della Fratellanza.

L’iniziativa

Ecco perché Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Giordania si sono improvvisamente mobilitati, tanto da arrivare ad annunciare che entro il 27 febbraio presenteranno un piano per Gaza. Questa iniziativa non è però solo un tentativo di evitare il piano del presidente Usa, ma anche una strategia di sopravvivenza da parte degli stessi governi egiziano e giordano, spaventati dal “cane pazzo” Usa che minaccia di ritirare i generosi finanziamenti ai due paesi. Trump ha tanti difetti, ma viene il sospetto che sappia parlare l’arabo molto meglio di Biden.

Davide Romano

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