La querelle interna al Partito Democratico sul possibile inserimento del nome della segretaria nel simbolo da presentare alle elezioni europee, mi ha fatto tornare alla mente una scena cult di “Karate Kid”, film di successo degli anni ’80 del secolo scorso. Il maestro Miyagi, immigrato dal Giappone negli Stati Uniti, decide dopo vari tentennamenti di insegnare i segreti del karate al giovane Daniel. L’allenamento però si rivela alquanto snervante e Miyagi sottopone l’allievo a un esercizio infinito “prima lava tutte le macchine. Poi le lucidi, con la cera. Devi dare la cera con la mano destra e la devi togliere con la sinistra: dai la cera, togli la cera. Dai la cera, togli la cera”.

Da togli la cera a metti Elly il passo è breve. Così ho provato a immaginare quello che è capitato al grafico al quale dal Nazareno avranno chiesto di preparare il simbolo da presentare al Ministero dell’Interno: questa volta nel simbolo mettiamo il nome di Elly, gli avranno detto, no anzi, dopo un paio di ore, togliamolo che è meglio.
Poi, una nuova retromarcia, correggiamo, adesso lo rimettiamo, anzi facciamolo pure più grande così si legge meglio. No, aspetta, dobbiamo bloccare tutto, ci stiamo pensando, forse è il caso di toglierlo per evitare polemiche. Questo tiro e molla, tra metti Elly e togli Elly, come insegnava il maestro Miyagi all’apprendista karateka Daniel, è andato avanti per diverse ore, fino alla resa definitiva e incondizionata, prima del grafico, che avrà di certo scaraventato almeno una decina di volte il mouse contro al muro del suo ufficio e poi della stessa segretaria.

Il caso del simbolo del Partito Democratico è la dimostrazione plastica della validità di un assioma che viene spesso citato in queste occasioni: la comunicazione è già politica e la politica è prioritariamente comunicazione. Qui, la questione non è più tanto l’inserimento o meno del nome del segretario del simbolo del partito, quanto invece, l’aver logorato in questo modo la credibilità, già ampiamente messa in discussione in diverse circostanze, della autorevolezza della leadership di Elly Schlein.
La segreteria, almeno questa è la percezione che se ne ricava alla fine di questo tormentone sul nome, sembra tutt’ora prigioniera degli umori e delle paturnie novecentesche che popolano e zavorrano il Partito Democratico.

La scelta di inserire nel simbolo il nome del segretario, invece di diventare una novità che raccontasse agli elettori di centro-sinistra l’arrivo di una stagione di trasparenza, di forza, di coraggio e di carisma, è finita per essere, come già tante in volte in passato, il sintomo di una deriva leaderistica da spegnere e condannare sul nascere.
Insomma, dalle parti del Nazareno hanno bruciato un’altra opportunità di parlare a un elettorato che non è confinato nella bolla della Storia.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).