Sentenza storica
Migranti, condannato il governo: i respingimenti in Slovenia sono illegittimi
Un elenco interminabile di violazioni: della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, di regolamenti e direttive Ue, del testo unico sull’immigrazione, della legge sul procedimento amministrativo.
A commetterle, secondo l’ordinanza del Tribunale di Roma del 18 gennaio, è stato il Ministero dell’Interno ai danni di un ragazzo pakistano di ventotto anni il quale, dopo aver percorso la cosiddetta “rotta balcanica” ed essere entrato in territorio italiano, era stato fermato dalla polizia a Trieste con un gruppo di suoi connazionali. Ammanettati e caricati su un furgone, erano stati riportati in una zona collinare nei pressi della frontiera con la Slovenia, nonostante avessero espresso la volontà di chiedere asilo.
Su quelle colline triestine ricomincia l’inferno del giovane pakistano e degli altri compagni: sotto la minaccia di bastoni viene loro intimato dagli agenti italiani di correre per meno di un chilometro fino a oltrepassare il confine, dove li attende la polizia slovena che li arresta e li chiude per una notte in una stanza senza cibo né acqua né possibilità di usare i servizi igienici. Anche ai poliziotti sloveni il giovane chiede di poter fare domanda di asilo, ma di tutta risposta viene nuovamente legato, colpito con calci e manganellate e consegnato alla polizia croata presso il confine. Come noto, la polizia croata riserva un trattamento particolarmente violento ai profughi nel respingerli fuori dai propri confini e quindi fuori dall’Unione europea, in Bosnia. Percosse fino a procurare fratture degli arti, scosse elettriche, in alcuni casi violenze sessuali. Nel caso del giovane pakistano che si è rivolto al Tribunale di Roma si parla dell’uso di manganelli avvolti nel filo spinato, di spray al peperoncino e di un pastore tedesco aizzato per mordere i profughi.
Il Viminale, che non si è neppure costituito in giudizio, ora per disposizione dei giudici dovrà subito consentire al ventottenne l’ingresso sul territorio italiano, come richiedente asilo, e provvedere a registrare la sua domanda di protezione internazionale. Un risultato di straordinaria importanza ottenuto grazie al lavoro delle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla e dell’Asgi, che si batte da tempo e senza sosta per denunciare quanto accade lungo la rotta balcanica e le gravi responsabilità del nostro Paese.
Infatti quello qui raccontato non è un episodio isolato, una circostanza eccezionale. Ma è una prassi. La prassi delle “riammissioni informali” seguita dal governo italiano con sempre maggiore frequenza a partire dalla primavera del 2020: veri e propri respingimenti di persone rintracciate dalle forze dell’ordine o dai militari inviati in Friuli in supporto ad esse proprio con questo scopo. Una prassi che il Ministero dell’Interno aveva descritto e rivendicato rispondendo a una mia interpellanza lo scorso luglio (e proprio a quella risposta si fa diffusamente riferimento nell’ordinanza del Tribunale). Qualora i migranti vengano rintracciati a ridosso della linea confinaria, rispose in modo abbastanza eclatante il Viminale, e vi sia la disponibilità della autorità slovene a riprenderseli, si procede per le vie brevi costringendo fisicamente le persone a oltrepassare di nuovo il confine italo-sloveno anche qualora queste abbiano fatto richiesta di asilo, di fatto ignorandola e senza che sia loro notificato un provvedimento amministrativo di espulsione né una convalida della misura di restrizione della libertà da parte di un giudice.
“Cosa pretendete?”, sembrò dire il governo quel giorno d’estate nell’aula deserta di Montecitorio, del resto li stiamo rimandando in un paese sicuro, anch’esso membro dell’Ue, in cui libertà individuali e diritti umani sono rispettati e garantiti. Ma, evidenzia l’ordinanza del tribunale, lo Stato Italiano aveva tutti gli elementi certi e documentali per sapere che la riammissione in Slovenia aveva una elevatissima probabilità di comportare per lo straniero il respingimento a catena negli altri paesi e i trattamenti inumani e degradanti.
Pochi giorni fa poi la ministra Lamorgese in persona, rispondendo a un altro question time alla Camera, aveva provato a correggere il tiro precisando che le “riammissioni informali” non vengono eseguite nei confronti di chi abbia fatto richiesta di asilo.
Alla luce dell’ordinanza del Tribunale di Roma dobbiamo riconoscere che la prima risposta del Viminale era quella veritiera e che, consapevolmente o meno, la ministra ha mentito di fronte al Parlamento.
Non possiamo commuoverci per le migliaia di persone bloccate nella neve e nel gelo dei boschi e dei campi profughi bosniaci, indignarci per la violenza disumana della polizia croata, e non condannare con fermezza l’operato del nostro governo che quest’anno ha rispedito in quell’inferno di ghiaccio e sofferenza 1400 persone.
Infine un aspetto cruciale e troppo spesso rimosso. Come è stato possibile che il governo italiano abbia a lungo agito in modo illegittimo, lo abbia candidamente ammesso di fronte al Parlamento e, per bocca della ministra dell’Interno, abbia in parte smentito quanto precedentemente affermato? È stato possibile grazie al forte e trasversale consenso politico su questo modo di operare. Se si cercano le dichiarazioni degli esponenti locali e nazionali eletti in quel territorio si troverà un coro unanime di richiesta al governo di rafforzare il contingente di forze dell’ordine e militari che controllano il confine, proprio con l’obiettivo di aumentare i rintracci e le riammissioni di quelli che percorrono la rotta balcanica fino all’Italia.
A qualcuno al Viminale, al governo e in Parlamento le “riammissioni informali” devono essere sembrate l’uovo di Colombo per affrontare il problema dei migranti, un modo per farli sparire così “senza formalità”, ossia caricandoli sui furgoni e portandoli al confine e spingendoli dall’altra parte con le buone e più spesso con le cattive; partecipando così a un crudele meccanismo di respingimenti a catena, di paese in paese, fino a sbattere queste persone fuori dall’Unione Europea.
Questo è il motivo per cui ora, pur di fronte all’evidenza delle gravi violazioni del diritto interno e internazionale operate proprio da quella amministrazione dello Stato che dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini e tutelare i loro diritti fondamentali, sarà difficile ottenere ciò che sarebbe normale aspettarsi in una democrazia. E cioè chiarezza su come le autorità italiane possano aver agito illegittimamente così a lungo e su ordine di chi esattamente. E poi la certezza che questo scempio non si ripeta più: non ora, che si è sollevata un po’ di attenzione sulla vicenda, né domani o tra qualche mese, quando l’attenzione sarà scemata e la neve della Bosnia si sarà sciolta.
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