Non ci alcuna responsabilità ‘esterna’ o istigazione al suicidio nella morte di Cloe Bianco, la docente transessuale di 58 anni morta nel rogo della sua roulotte parcheggiata tra Auronzo e Misurina, nel Bellunese, l’11 giugno scorso.
Lo ha stabilito la Procura di Belluno archiviando il caso della professoressa, la cui morte fu dunque, secondo i magistrati, il risultato di una libera scelta. A spingere probabilmente verso questa decisione da parte della Procura è stato anche quanto scritto da Cloe il 10 giugno, il giorno precedente il suicidio, sul suo blog: “Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte”, scriveva la docente.
“In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono – continuava Cloe nell’ultimo post sul blog dove si raccontava – Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto”, erano le parole riportate in quello che può essere considerato una sorta di testamento digitale.
Un decesso che provocò polemiche: una morte dovuta alla solitudine e all’incomprensione, di una persona costretta a vivere ai margini della società perché transessuale, allontanatasi dall’insegnamento che tanto amava, relegata al lavoro di segreteria, un buon lavoro ma che non era il suo.
Una storia che comincia nel 2015, nel giorno in cui Luca Bianco, insegnante di laboratorio, si presenta ai suoi studenti dell’istituto Scarpa-Mattei di San Donà di Piave vestito da donna e dice: “Buongiorno a tutti, da oggi sono Cloe”. Sette anni dopo sul blog Cloe scriveva: “Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra. In punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgender. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo”.
Quel coming out le costò tantissimo, soprattutto nella sua amata scuola: fu sottoposta a procedimenti disciplinari e dopo un paio d’anni decise di rinunciare definitivamente all’insegnamento. Da quel momento solo posti di lavoro nelle segreterie di vari istituti della provincia veneziana, fino a eclissarsi e sparire, fino al tragico epilogo.
Quanto all’inchiesta, dopo il rogo la Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti e senza ipotesi di reato. Dal test del Dna ordinato dal pm Marta Tollardo, in accordo con il procuratore capo Paolo Luca, sono emersi i risultati attesi: il corpo carbonizzato e irriconoscibile era quello di Cloe. L’indagine aveva escluso anche ogni pista riferibile ad un omicidio, ma anche l’ipotesi di responsabilità di altre persone nell’estremo gesto dell’ex docente.
© Riproduzione riservata