Ci sono molti punti oscuri da chiarire nella storia di Wissem Abdel Latif, il ventiseienne tunisino morto al San Camillo di Roma dopo esservi stato trasferito dal Cpr di Ponte Galeria. Partiamo da quello che sappiamo, per averlo appreso dalla consultazione dei documenti sanitari e dai colloqui intercorsi durante due visite ispettive effettuate nel centro nei giorni scorsi. Wissem arriva in Italia a fine settembre, trascorre la quarantena sulla nave Atlas ad Augusta e il 13 ottobre viene inviato a Ponte Galeria con un certificato di idoneità alla vita in comunità ristretta: viene quindi disposto il trattenimento in attesa del rimpatrio.

Una decina di giorni dopo, il 25 ottobre, una relazione del servizio socio-psicologico del Cpr rileva che il ragazzo manifesta scarsa lucidità, disorientamento, stati d’ansia, senso di oppressione e tachicardia, e segnala la necessità di una visita psichiatrica: visita che ha luogo l’8 novembre presso il Dipartimento salute mentale (Dsm) di Roma Corviale, che ipotizza uno stato schizoaffettivo e ha come esito la prescrizione di una terapia farmacologica.
A quanto ci viene riferito la situazione, nei giorni successivi, non migliora: tant’è che il 19 novembre, con una nuova relazione, il servizio socio-psicologico del Cpr rileva il perdurare delle problematiche già segnalate e richiede una nuova visita psichiatrica.

La seconda visita, che avviene il 23 novembre sempre al Dsm di Corviale, si conclude con una richiesta di ricovero ospedaliero per approfondire la situazione: lo stesso giorno, quindi, dal Cpr Wissem viene portato in ambulanza al pronto soccorso del Grassi di Ostia, da cui dopo poche ore viene trasferito al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) dello stesso ospedale con un referto in cui si parla di agitazione psicomotoria e di paziente schizofrenico.
Due giorni dopo, il 25 novembre, Wissem viene trasferito per competenza territoriale all’Spdc del San Camillo: qui, come risulta dal relativo registro, viene subito sottoposto a contenzione per stato di necessità. Da quanto scritto nella cartella la contenzione prosegue, senza che siano mai indicati gli orari di cessazione degli interventi, sia il 26 che il 27 novembre: finché, alle 4:20 del mattino del 28, si dà atto che il paziente è deceduto per arresto cardiocircolatorio.
Questi sono i dati che emergono dalla documentazione che ho potuto visionare.

Passiamo alle testimonianze raccolte nel Cpr. Da quanto mi è stato riferito dai compagni di stanza di Wissem e da alcuni ospiti della struttura che sono partiti sulla nave insieme a lui, con cui ho parlato durante la mia seconda visita al centro, il giovane era un ragazzo tranquillo, grande appassionato di calcio, la cui più rilevante difficoltà era quella di non riuscire a dormire la notte. Inoltre, il giorno prima di essere ricoverato, Wissem avrebbe raccontato loro di aver subito percosse da parte delle forze dell’ordine, e a riprova di quanto affermato avrebbe mostrato loro una protuberanza sul capo. Gli interrogativi che questa drammatica sequenza di eventi apre sono tanti, e sono tutti inquietanti. In ordine cronologico: i supposti problemi psichiatrici di Wissem sono antecedenti al suo ingresso nel Cpr o sono maturati durante la sua permanenza nel centro, posto che i racconti della famiglia e di chi ha intrapreso il viaggio insieme a lui riferiscono di un giovane senza particolari difficoltà? Perché si è resa necessaria la contenzione, quando nessuno nel Cpr mi ha riferito di un ragazzo con atteggiamenti aggressivi?

Quanto è durata la contenzione, visto che nel registro che la documenta, in cui dovrebbero essere indicati gli orari di inizio e fine di ciascun intervento, è indicato un solo orario di cui non è chiaro il significato? È plausibile, a partire da questa evidenza, concludere che la contenzione si sia protratta per tre giorni consecutivi senza soluzione di continuità?
Cosa sappiamo dei due giorni trascorsi nell’Spdc del Grassi dopo le dimissioni dal pronto soccorso, che a quanto ho potuto constatare non sono in alcun modo documentati? Qual è stata esattamente la ragione della morte di Wissem, dal momento che l’arresto cardiocircolatorio menzionato nel registro è più un sinonimo dell’avvenuto decesso che una sua causa?

Sono vere le voci che riferiscono, per bocca dei suoi compagni, di percosse subite dal ragazzo nel Cpr? E in caso affermativo, che ruolo hanno avuto quelle percosse nel determinare la situazione, fisica e psicologica, con cui il giovane è entrato in ospedale? Si tratta di quesiti a cui è urgentissimo dare una risposta, per ricostruire al di là di ogni ragionevole dubbio l’ultima settimana di vita di un ragazzo di ventisei anni arrivato in Italia per cercare un’esistenza migliore. Una settimana trascorsa, dal Cpr al reparto psichiatrico del San Camillo, interamente nelle mani dello Stato.

Consigliere regionale del Lazio di +Europa Radicali