La denuncia viene rilanciata dal garante nazionale per i detenuti Mauro Palma
“Legato a letto per tre giorni”, il dramma del 26enne morto al San Camillo dopo i pestaggi

“Il suo sogno era andare a lavorare in Francia. Adesso voglio giustizia per mio figlio e già ci siamo affidati a un avvocato in Italia”. Vuole conoscere la verità Henda Benalì, la mamma di Wissem Ben Abdel Latif, sul decesso di suo figlio di 26 anni morto nel reparto psichiatrico del San Camillo, dopo essere stato legato al letto per giorni.
Il giovane tunisino, dopo una breve permanenza al Cpr, era stato trasferito in ospedale per presunti disturbi psichiatrici, dove è morto il 28 novembre su un lettino di contenzione. A denunciare la vicenda è la campagna LasciateCIEntrare, su segnalazione del deputato tunisino Majdi Kerbai.
La denuncia viene rilanciata dal garante nazionale per i detenuti Mauro Palma, su mobilitazione del garante laziale, Stefano Anastasia, e di Alessandro Capriccioli, consigliere regionale di Radicali/+Europa. La procura di Roma ha aperto un fascicolo e disposto l’autopsia per fare luce sul decesso del giovane 26enne.
La vicenda
Sono disperati il padre e la madre di Abdel, che non riescono a trovare una spiegazione sull’assurda morte del 26enne, partito da Kebili, nel sud della Tunisia, e arrivato in Italia il 2 ottobre su un barcone con altri migranti.
Abdel approda al porto di Augusta in Sicilia e dopo 14 giorni di quarantena su una motonave, viene trasferito al Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma. Anche qui il giovane non ha la possibilità di richiedere asilo.
La campagna LasciateCIEntrare racconta su Facebook come questo percorso sia ormai una prassi consolidata: “come ormai quasi di prassi in Italia per chi proviene dalla Tunisia, non era riuscito a manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale ed era stato inviato in direttissima al Cpr di Ponte Galeria”, affonda l’associazione.
A Roma inizia il calvario del 26enne. Il giovane si confida con il cugino, raccontando che dentro il Cpr la situazione è brutta: qui subisce aggressioni verbali e fisiche, tanto che il giovane vive in uno stato di ansia e paura.
Nella Capitale, come riporta Repubblica, il servizio di supporto psicologico dopo alcuni colloqui con Abdel chiede una visita con lo psichiatra. Un passo indietro rispetto a quanto avvenuto in Sicilia, dove Abdel è stato dichiarato alla vita di comunità.
Il ricovero
All’interno del centro, Abdel ha un malore e viene trasferito in ospedale, prima al Grassi di Ostia, e poi nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma, dove i medici hanno deciso di legare al letto il paziente per il suo comportamento aggressivo. Il giovane viene sottoposto a una terapia farmocologica, stabilita dalla Asl 3, che però non è andata a buon fine, secondo quanto ricostruito nelle carte sanitarie richieste e ottenute dal Garante nazionale per i detenuti, Mauro Palma.
“Dalla documentazione che abbiamo visionato risulta che il giovane tunisino era affetto da problemi psichiatrici e che il 23 novembre, a seguito di una richiesta da parte della Asl finalizzata all’approfondimento della valutazione psichiatrica, è stato portato al pronto soccorso dell’ospedale Grassi”, scrive su Facebook Alessandro Capriccioli, che sta cercando di fare luce sul caso.
“Da qui, dopo due giorni, il giovane è stato trasferito al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Spdc) dell’ospedale San Camillo, in cui risulta essere stato sottoposto a contenzione, tutti i giorni fino al 27, anche se non è specificato con quali tempistiche. Infine, il 28 novembre è deceduto per arresto cardiocircolatorio”.
Il garante Mauro Palma sottolinea che alcuni dettagli mancano dalla carte sanitarie di Abdel di cui è entrato in possesso. Come spiega a Repubblica, “va chiarito se al momento della morte fosse legato perché nelle carte sanitarie non è indicato. Gli esami del sangue erano regolari, non sembrava ci fossero problemi di salute”. E ha poi ricostruito: “C’è un’indicazione sulla necessità di legare il paziente braccia e gambe già il 25 novembre, poi sono stati annotati i controlli del 26 e del 27 novembre. Non è indicato invece se Abdel fosse stato legato anche nella sua ultima notte in vita”.
“Chiudere i lager di Stato”
L’organizzazione LasciateCIEntrare inquadra la vicenda del giovane tunisino come ennesima tragedia legata alla detezione amministrativa.
Nel post di denuncia, l’associazione scrive: “Abdel latif ha trovato solo detenzione in un paese che ormai non lascia speranza a nessuno. Un paese che continua ad uccidere perchè se non si muore di frontiera e di naufragi in mare si muore di CPR. Tutto questo non è solo inaccettabile. È l’orrore ormai normalizzato contro cui continuiamo a combattere”. E lancia un appello: “Chiudere tutti i Cpr. I Cpr sono lager di Stato!”.
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