Il 7 ottobre scorso i ministri dell’Interno di ben dodici Paesi della UE (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia) hanno inviato una lettera alla presidente della Commissione Europea. Non si tratta, come si vede, solo di paesi del noto gruppo di Visegrad ma di molti di più e di diverso orientamento politico. La missiva sollecita la Commissione europea ad adattare il quadro giuridico attuale dell’Unione a contrastare ciò che essi identificano come tentativi di strumentalizzazione della migrazione illegale per scopi politici attuati da Stati non Ue, nonché altre, non meglio definite minacce ibride (nel testo: hybrid threats).

Nella lettera si fa esplicito rinvio alla relazione della Commissaria Von Der Leyen del 29 settembre scorso sullo stato dell’Unione laddove la Commissaria, riferendosi esplicitamente alla Bielorussia quale esempio, ritiene di evidenziare l’esistenza di un traffico di migranti sponsorizzato dallo stato (nel testo: State-sponsored migrant smuggling) inteso come una situazione in cui uno Stato crea e facilita artificialmente la migrazione irregolare usando la pressione migratoria come strumento per propri scopi politici. Nel citato discorso Von Der Leyen invoca in modo del tutto vago la necessità che la Ue, al fine di combattere ciò che ritiene un nuovo fenomeno, si doti di una sorta di cassetta degli attrezzi rafforzata che riunisca l’intera gamma di strumenti operativi, legali, diplomatici e finanziari a sua disposizione; tra gli interventi così genericamente auspicati la Commissaria ricorda, tuttavia, anche la necessità di assistere i migranti soggetti a tali strumentalizzazioni.

È quanto meno dubbio che si possa definire un fenomeno politicamente nuovo quello della strumentalizzazione delle crisi migratorie da parte di paesi terzi ad ordinamento non democratico o esplicitamente autoritario, salvo che si identifichi come un fenomeno nuovo per entità e impatto in Europa proprio ciò che Von Der Leyen ha omesso del tutto di esaminare nella sua comunicazione sullo stato dell’Unione, ovvero che è l’Unione stessa a praticare da alcuni anni con paesi terzi accordi di ogni genere, per lo più segreti o comunque sottratti al controllo democratico parlamentare, come nel caso del non-accordo tra Ue e Turchia, per bloccare i migranti, senza prevedere alcun vincolo e alcuna condizione reale sulla tutela giuridica e sul trattamento sociale delle persone bloccate nei paesi terzi in virtù di tali accordi. È dunque in primo luogo la politica esterna dell’Unione in materia di asilo e di esternalizzazione delle frontiere a generare esplosive situazioni di crisi che, come è ovvio, possono venire strumentalizzate dai paesi terzi con cui si stringono accordi, salvo poi deplorarne il comportamento.

Non mi soffermo oltre sulla scarsa consistenza dell’analisi della presidente Von Der Leyen e torno all’esame del testo della citata missiva redatta dai dodici ministri. In essa si chiede di apportare significative modifiche all’attuale Codice Frontiere Schengen, ovvero al Regolamento (UE) 2016/399, in quanto in esso non vi sarebbero regole chiare riguardo alle azioni che gli Stati membri possono realizzare in caso di un attacco ibrido caratterizzato da un afflusso su larga scala di di migranti irregolari, (nel testo: a hybrid attack characterised by an artificially created large scale inflow of irregular migrants) facilitato, organizzato e/o spinto da un paese terzo. Curiosamente il documento non si ferma a meglio definire uno dei concetti fondamentali che propone ovvero quando il flusso dei migranti possa dirsi “artificiale”; si deve intendere un arrivo di persone forzate a lasciare il paese terzo ma che non vorrebbero farlo? È forse da considerare artificiale la scelta dei migranti di abbandonare il paese nel quale erano bloccati appena si presenta loro un’occasione data da un cambio politico? E ancora, riconoscendo che una strumentalizzazione politica di tali situazioni può portare gravi conseguenze, quali azioni vanno realizzate per gestire le crisi nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte?

Si tratta di domande che non trovano alcuna risposta nel documento, il quale si limita a dolersi del fatto che nel diritto della Ue non sia prevista alcuna misura, tranne la sorveglianza delle frontiere, per impedire l’attraversamento illegale e che non sia prevista una barriera fisica come misura di protezione delle frontiere esterne dell’Ue. Si arriva dunque all’unica proposta: la realizzazione di barriere fisiche lungo tutte le frontiere esterne individuata come una misura permanente, a regime (e non come eventuale misura estrema in presenza di una crisi) la cui realizzazione deve essere un obiettivo prioritario per l’Unione (nel testo: Physical barrier appears to be an effective border protection measure that serves the interest of whole EU, not just Member States of first arrival). Colpisce in tutto il testo l’uso di un linguaggio militare nel quale le persone usate come armi improprie da parte degli stati terzi perdono del tutto la caratteristica primaria di essere vittime e, a ben guardare, perdono persino la caratteristica di essere persone. Nel testo della missiva non compaiono mai parole come assistenza, accoglienza, asilo, protezione se non in un unico passaggio laddove si fa riferimento a sistemi di migrazione e di asilo sovraccarichi e capacità di alloggio esaurite.

Le persone alle quali la barriera fisica impedirebbe l’ingresso sono concepite come una massa indistinta di nemici e il documento non si pone in alcun modo l’interrogativo, giuridico prima ancora che etico, di come esaminare la loro posizione caso per caso e di come permettere l’accesso ad una procedura di esame della loro domanda di asilo magari condotta alla frontiera con procedura accelerata. Nella citata lettera il diritto di asilo come diritto fondamentale previsto dal diritto dell’Unione ed in particolare dalla Direttiva 2013/32/UE (procedure) quale diritto di chiedere protezione ad una frontiera esterna della UE, viene semplicemente e tacitamente abrogato. Sparisce contestualmente il divieto di respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra in quanto diviene possibile respingere alla frontiera chi si trova appena al di là del muro senza esaminare la sua situazione individuale. Quanto ai respingimenti collettivi, vietati dal diritto Ue, anch’essi divengono quindi possibili, anzi la norma. Cosa rimane in tale scenario del diritto d’asilo quale diritto fondamentale che sta alla base della civiltà giuridica europea? Di fatto più nulla.

L’abrogazione di fatto del diritto d’asilo e la creazione di muri fisici non sono scindibili dall’uso impunito della violenza verso le persone che vengono respinte, giacché non esistono muri dolci dai quali le persone che cercano di entrare vengono allontanate seguendo una procedura rigorosa che prevede regole e condizioni. Il respingimento attuato per impedire di passare il muro, per essere efficace, deve essere rapido e sommario; e deve essere violento perché la violenza è parte delle misure di dissuasione. Diversamente è solo perdita di tempo e di soldi. È per queste evidenti e semplici ragioni che tutte le sperimentazioni che da tempo precedono la costruzione delle barriere fisiche attuate finora alle frontiere esterne dell’Europa, come quelli tra la Grecia e la Turchia, tra la Bulgaria e la Turchia, e quelle messe in atto da anni tra la Croazia e la Bosnia e appena svelate dalle agghiaccianti immagini pubblicate dal progetto di giornalismo “Lighthouse Report”, e da ultimo le violenze al confine tra Polonia e Bielorussia che hanno provocato la morte per stenti di diversi rifugiati, hanno, nella diversità delle circostanze, le medesime caratteristiche di violenza sistematica e di pianificata violazione proprio del Codice Frontiere Schengen nella parte in cui disciplina i respingimenti legittimi, ovvero assunti dopo un contatto con la persona, la verifica della sua situazione, ed attuato con provvedimento motivato e notificato affinché possa essere oggetto di un sindacato giurisdizionale. Ma una procedura legale è cosa sciocca ed impossibile da attuare se lo scopo non è il respingimento legittimo di chi non ha titolo ad entrare, bensì il respingimento del nemico.

Se i dodici firmatari della missiva alla Commissione UE si fossero limitati a proporre delle nuove misure straordinarie da inserire nel diritto della Ue nel solo caso si verifichi un arrivo massiccio di migranti artificialmente spinti verso la Ue da parte di un paese terzo confinante, la loro proposta avrebbe potuto essere esaminata, criticata, rifiutata, emendata, all’interno del normale, anche aspro, confronto democratico. Ma ciò che è stato messo nero su bianco è tutt’altro: ovvero un tentativo di sovvertire principi fondamentali dell’ordinamento democratico dell’Unione, talmente inaudito che ritengo verrà esaminato dagli storici che studieranno la nostra epoca come uno dei più significativi manifesti ideologici del neo autoritarismo del XXI secolo. Se sono molte e complesse le sfide storiche del tempo presente, dalla gestione delle pandemie fino alla crisi climatica, ed ognuna delle risposte che diamo ci dice chi realmente siamo, la gestione delle migrazioni, e di quelle forzate in particolare, rimane la principale prova della tenuta della democrazia in Europa.