Le navi della nostra Guardia costiera impedite ad agire fuori dalle acque territoriali. La proposta di Bruxelles di affidare ad un italiano l’incarico di inviato speciale dell’Ue per la Libia, lasciata cadere nel vuoto. Libia, “operazione verità”. Una verità amara, che dà conto della progressiva marginalizzazione dell’Italia dalla “partita libica” e da quel Mediterraneo diventato ormai il “mar degli altri”. Storia di una Italia sotto scacco, umiliata, come dimostrano, solo per citare gli ultimi casi, i pescatori di Mazara del Vallo, da due mesi ostaggi dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar mentre in passato per episodi analoghi altri governi hanno agito con forza e tempestività, e la Turchia di Erdogan che prende il controllo della Guardia costiera libica.

Per ricostruire questa storia di smacchi e di autoflagellazioni, Il Riformista si è avvalso di una fonte che il dossier-Libia lo conosce come le proprie tasche, avendo esercitato in passato funzioni di comando apicali. In un recente articolo questo giornale ha messo in evidenza l’aumento dei morti nelle traversate del Mediterraneo durante il governo Conte I, quando al Viminale c’era Matteo Salvini, rispetto al periodo precedente, quando il ministro dell’Interno era Marco Minniti. Perché quando c’è Salvini all’Interno, pur essendo molto minore il traffico, l’indice di mortalità aumenta, rispetto al passato? La fonte offre una risposta che può risultare imbarazzante per chi ha ricoperto incarichi di governo nel Conte I e li ricopre nel Conte II: «Fino al maggio del 2018 nel Mediterraneo centrale c’era un sistema di ricerca e salvataggio in mare coordinato dalla Guardia costiera italiana. A questo sistema facevano riferimento le missioni internazionali, Sophia e Triton, la Guardia costiera libica e tutte le navi delle Organizzazioni non governative». Prima della nefasta stagione della chiusura dei porti, pur dentro il codice di condotta noto come “codice Minniti”, nel Mediterraneo operavano mediamente, e in contemporaneità, 6 navi delle Ong. Tutte le Ong avevano firmato il codice di condotta, esclusa Medici senza Frontiere che tuttavia operava sulle navi di Sos Mediterranee. Quello era un patto, giusto, sbagliato, leonino, ma comunque un patto. Non un obbligo di legge. Con Salvini e i decreti sicurezza, si è intervenuti attraverso la legge, addirittura per decreto, facendo una cosa senza precedenti perché, sottolinea la fonte, «sulle questioni umanitarie non si interviene mai con una legge, men che meno con un decreto legge».

«In questo sistema, la Guardia costiera italiana operava in acque internazionali e in acque libiche. Sono stati decine gli interventi della nostra Guardia costiera anche in acque libiche, perché esisteva un meccanismo per cui se la Guardia costiera libica non riusciva a intervenire, interveniva la Guardia costiera italiana o interveniva Sophia o le Ong. Dal luglio del 2018, la Guardia costiera italiana non interviene più fuori dalle acque territoriali, perché gli è stata data un’indicazione in tal senso dal Governo, il Conte I, e la cosa non è cambiata con il Conte II. A ciò si aggiunge che la missione Sophia non è stata più rifinanziata, fino ad arrivare al paradosso-barzelletta partorito dall’Unione europea che confermò la missione navale ma senza navi in mare. Sta di fatto che la missione Sophia non c’è più, sostituita da Irini che tuttavia ha un’altra missione: quello di contrastare il traffico d’armi». Con esiti peraltro penosi, come Il Riformista ha ampiamente documentato, perché l’unica cosa che non manca in Libia sono le armi che arrivano sistematicamente.

All’inizio del 2020 si tiene a Berlino la Conferenza sulla Libia, a cui partecipano la Turchia, la Russia, tutti i Paesi arabi, quelli europei, e gli Stati Uniti. Il documento finale è rigorosissimo, inappellabile: tutti coloro che firmano quel documento, s’impegnano a stroncare il traffico di armi e a rispettare, e far rispettare, l’embargo dichiarato dalle Nazioni Unite. Dopo tre giorni, vengono fotografate da media di tutto il mondo, navi turche che stanno sbarcando nel porto di Tripoli materiale di armamento. I turchi avevano firmato la Dichiarazione di Berlino… In questo contesto, rimarca ancora la fonte, «la narrazione praticata dai nazionalpopulisti era contrapporre sicurezza a umanità. Schema reiterato anche in altri campi e in piena crisi pandemica. Vuoi più sicurezza, rinuncia alla tua libertà. C’è l’immigrazione, vuoi più sicurezza, rinuncia alla tua umanità. C’è il Covid, vuoi più salute, rinuncia a principi di libertà. L’approccio democratico è un altro. Lo sforzo per conciliare queste parole: umanità e sicurezza. Questo era il meccanismo che si era tentato di mettere in campo, che poi è stato bloccato a un terzo dalla caduta del governo Gentiloni. Il problema è che in questi due anni e mezzo nessuno è ritornato lì. Un esempio: la modifica dei decreti sicurezza di Salvini.

Quei decreti sono un elemento meramente propagandistico sul terreno dell’immigrazione dall’esterno, e sono particolarmente dannosi per quanto riguarda la situazione italiana, perché rendono “fantasmi” decine di migliaia di persone che prima erano, attraverso il meccanismo della protezione umanitaria – un sistema che esisteva soltanto in Italia ma di cui dovevamo essere particolarmente orgogliosi – sottratti alla clandestinità; un sistema che consentiva, dentro un quadro equilibrato di rispetto di diritti e doveri, di stare dentro una dinamica legale. Nel momento in cui avevi cancellato la protezione umanitaria, che adesso hai ripristinato, anche se non del tutto ma comunque è un fatto importante – annota la fonte – migliaia di migranti erano usciti dai radar della legalità e della conoscenza, entrando nella “illegalità”. E questo è un suicidio per una democrazia, in generale, e lo è ancora di più in tempi di coronavirus. Perché quelle persone non sono tracciabili dal punto di vista sanitario e quindi diventano un veicolo non conosciuto da parte del Governo di una eventuale diffusione della pandemia».

«Per conciliare salute e immigrazione, bisogna riprendere la partita dei corridoi umanitari: coloro che sono “certificati” dalle Nazioni Unite come fuggitivi da guerre e persecuzioni, vengono in Europa con i corridoi umanitari, iniziando a svuotare i centri di accoglienza libici, all’interno di un piano straordinario europeo di ricostruzione della Libia, come è stato fatto per la “rotta orientale – sottolinea il nostro interlocutore -. Tunisia e Libia: un miliardo e mezzo in tre anni, dando così un segnale ai popoli di quei due Paesi che non vogliono essere vassalli né della Turchia né della Russia, ma vorrebbero essere “europei”, parlare con l’Europa. Ma per poter parlare ci vuole qualcuno che sia disposto a farlo. L’Europa non può mettere armi, perché non può né deve fare il “corsaro” del Mediterraneo, ma diventare protagonista di un grande progetto di ricostruzione dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, approfittando della debolezza economica di Ankara e Mosca.

Svuotiamo i centri di accoglienza legali, e diciamo che per concorrere ai soldi bisogna porre fine a una situazione disumana, inaccettabile. Il che vuol dire, ad esempio, che nei Paesi di origine delle migrazioni, presso le nostre ambasciate si fanno le liste delle persone che vogliono venire da noi, e l’Italia prende da quelle liste e nel periodo in cui quelle liste restano aperte, gli iscritti partecipano a lezioni di lingua italiana, di lingua inglese, all’acquisizione di elementi di cultura generale, italiana ed europea, e a corsi di formazione professionale definiti in base alle necessità definite, in termini quantitativi e di settore, dal Governo italiano e dagli altri Paesi Ue». Ma l’Operazione verità” non può dirsi conclusa senza l’ultima “chicca” tafazziana: l’Italia rinuncia all’”offerta” avanzata da Frans Timmermans, vice presidente della Commissione europea, esplicitata in una intervista a firma Paolo Valentino, al Corriere della Sera, pubblicata il 7 gennaio 2020.

«In Libia – è la domanda di Valentino, parlano le armi, Russia e Turchia sembrano pronte a dividersi le zone di influenza e la missione Ue a guida italiana rischia di fallire. Come vuol far valere la Commissione la sua dimensione geopolitica?» Questa la risposta di Timmermans: «Con la sua esperienza e i suoi contatti, penso a una personalità come l’ex ministro Minniti, il governo italiano ha la possibilità di costruire insieme a Borrell e alla Commissione una politica europea ragionevole e importante che eviti l’escalation. La situazione in Libia dev’essere una priorità assoluta per l’Ue, non solo per le migrazioni». Una “proposta” pubblica a cui il Governo italiano non ha mai risposto. “Ossessionati” da Minniti, conclude la fonte, a Palazzo Chigi e alla Farnesina hanno preferito far cadere la proposta. Se non è tafazzismo questo…

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.