Sappiamo ancora poco di quel drammatico groviglio di violenze ed illegalità che va sotto il nome di “rotta balcanica” ma qualcosa iniziamo a sapere. Vediamo dunque brevemente gli aspetti essenziali: sappiamo che diversi Paesi Ue (Grecia, Bulgaria, Ungheria, Croazia, Slovenia e da ultimo l’Italia) hanno eretto forti barriere per impedire ai rifugiati di accedere fisicamente al territorio e chiedere protezione internazionale ovvero per esercitare il loro diritto di asilo. L’Ungheria ha costruito già da alcuni anni un muro lungo tutto il confine con la Serbia e continua a violare in modo sistematico il diritto d’asilo nonostante le numerose condanne (ultima quella della Corte di Giustizia dell’Unione del 17.12.2020) di cui però la “democrazia illiberale” di Orban non pare curarsi affatto.

Negli altri Paesi Ue l’impedimento all’accesso dei rifugiati al proprio territorio viene invece realizzato prevalentemente attraverso imponenti schieramenti di polizia e di forze dell’esercito, quasi ovunque con il supporto dell’agenzia Frontex ora sotto inchiesta proprio per il suo operato nei controlli di frontiera sulla costa greco-turca. Dopo un lunghissimo silenzio si è finalmente iniziato a parlare anche in Italia dell’utilizzo indiscriminato della violenza da parte della vicina Croazia verso tutti coloro che cercano di entrare in quel Paese per cercare protezione provenendo dalla Bosnia. Come ho evidenziato anche su questo quotidiano il 27.11.2020 le operazioni di respingimento collettivo attuate nell’ultimo biennio della polizia croata, per sistematicità, livello di violenza raggiunta, durata, numero di persone coinvolte (decine di migliaia) e soprattutto in ragione della pianificazione politica che le ha rese possibili, non trovano precedenti nella storia dell’Europa degli ultimi decenni.

Ci mostriamo apparentemente affranti di fronte alle immagini dei profughi a piedi scalzi nella neve in Bosnia ma fingiamo di ignorare che quel dramma non è dovuto ad eventi improvvisi e difficilmente gestibili bensì è una crisi artificiale che nasce da scelte politiche dell’Unione Europea. Fingiamo in particolare di ignorare che la Repubblica di Croazia è tenuta, in virtù della sua adesione all’Unione, a rispettare le normative in materia di asilo che prevedono il diritto di chiedere asilo alla frontiera di uno Stato dell’Unione, in provenienza da un Paese esterno. Il diritto d’asilo infatti si realizza in primo luogo nella possibilità di chiederlo, ovvero nel diritto di accedere ad una procedura tramite la quale la domanda viene formalizzata e la persona viene accolta in condizioni di sicurezza.

Solo dopo tale accesso e accoglienza si può valutare se lo Stato nel quale la domanda è stata presentata è quello competente a esaminarla o se, in base al Regolamento Dublino III, è un altro lo Stato competente nel quale trasferire il richiedente asilo a condizione che in questo stato il sistema di asilo non presenti disfunzioni sistemiche. Diversamente da quanto prevedono le normative, la Croazia semplicemente rifiuta di prendere le domande di asilo di coloro che cercano di entrare nel suo territorio annullando in un sol colpo il fondamento di quel diritto. Nel fare ciò la Croazia non è certo l’unico stato dell’Unione a mettersi al di fuori della legalità bensì è solo il più violento.

Rispondo subito a due obiezioni che spesso vengono fatte: la prima è che non ci sono richiedenti asilo alla frontiera croato-bosniaca perché sono le persone stesse a non volere presentare domanda di asilo in Croazia e la seconda che non sarebbe comunque possibile per questo piccola nazione gestire un numero così elevato di domande di asilo (e di relativa accoglienza). Alla prima domanda rispondo che è indubbiamente vero che i rifugiati, dopo essere scappati dai conflitti siriano, afgano, iracheno, dalle persecuzioni iraniane e dalla instabilità del Pakistan ed essere arrivati fino in Bosnia non vogliono fermarsi in Croazia. Chiediamoci però come si può ragionevolmente pensare di imporre a un rifugiato di chiedere protezione a un Paese che usa la violenza sistematica come la Croazia?

La prima domanda dunque non è solo infondata ma è anche offensiva nei confronti delle vittime. La seconda è invece una domanda seria che chiama in causa la riforma del sistema comune d’asilo nell’Unione ed in particolare la riforma del citato Regolamento Dublino. La Croazia, al pari della vicina ed ancor più piccola Slovenia, si troverebbe senza dubbio in difficoltà nel gestire tutte le domande di asilo che le perverrebbero se rispettasse le norme; i richiedenti asilo da quel paese, come d’altronde, molto prima, dalla Grecia, andrebbero infatti ricollocati in tutta l’Unione non come scelta temporanea ma sulla base di una profonda riforma normativa che, dando effettiva attuazione al principio di solidarietà di cui all’art. 80 del Trattato sul funzionamento della Ue cancelli l’anacronistico Regolamento Dublino III e lo sostituisca con una norma che preveda una distribuzione obbligatoria dei richiedenti in tutta l’Unione sulla base di criteri giuridici vincolanti.

Nulla di tutto ciò sembra all’orizzonte poiché la proposta di Patto per le migrazioni e l’asilo presentata dalla Commissione Ue il 23 settembre 2020 non riforma affatto il Regolamento di Dublino, nonostante le errate informazioni giornalistiche che hanno portato molti a ritenere il contrario. Di fronte a questa paralisi del percorso di riforma del sistema di asilo nell’Unione ogni piccolo stato balcanico cerca di salvarsi da sé evitando di rispettare il diritto d’asilo e respingendo i rifugiati nello stato vicino e da lì in quello vicino ancora, fino a conseguire l’obiettivo finale ovvero l’uscita violenta dei malcapitati dall’Unione. Si produce così un crollo del sistema giuridico che lascia il campo libero ad ogni forma di arbitrio.

Sappiamo che questo crollo della legalità, da maggio 2020, ha travolto anche l’Italia che si distingue dagli altri Paesi citati solo per il nostro mancato o minore ricorso alla violenza fisica verso le persone respinte ma la condotta delle autorità italiane appare, sotto gli altri profili, estremamente simile per ciò che riguarda la gravità delle violazioni delle norme europee ed internazionali. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal Prefetto di Trieste a fine gennaio 2021 all’eurodeputato Smeriglio con una direttiva (più volte richiesta ma di cui il Viminale rifiuta l’ostensione) a firma di Matteo Piantedosi, allora capo di Gabinetto della passata nonché novella Ministra Lamorgese, e già facente le stesse funzioni sotto il sig. Salvini, il Viminale avrebbe impartito istruzioni di impedire, alla frontiera terrestre italiana, il diritto di accedere alla procedura di asilo, riammettendo “senza formalità” i richiedenti nella vicina Slovenia che da lì, attraverso un meccanismo a catena, venivano riportati in Bosnia.

Nell’ordinanza del 18 gennaio 2021 con la quale la giudice Silvia Albano del Tribunale di Roma chiarisce che «la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di un richiedente asilo, senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale in materia». Di conseguenza la stessa ordinanza condanna l’Italia per le riammissioni informali dei richiedenti asilo: «Il Ministero era in condizioni di sapere – in considerazione dei report e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazionali, dei report delle Ong maggiormente accreditate anche sul territorio, delle risoluzioni dell’Unhcr e da ultimo della lettera del 7 dicembre 2020 della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa sulla situazione dei migranti in Bosnia – che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta la riammissione informale in Croazia e il respingimento in Bosnia, nonché che i migranti sarebbero stati soggetti ai trattamenti inumani e alle vere e proprie torture inflitte dalla polizia Croata. Con la conseguenza che il governo italiano deve ritenersi responsabile della violazione anche degli artt. 3 e 13, art. 4 protocollo 4 Cedu e 4 e 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea».

La dimensione “informale” della riammissione risulta scelta incompatibile con i principi fondamentali dello stato di diritto. Ricordando infatti che l’accompagnamento forzato in Slovenia incide su diritti fondamentali delle persone coinvolte, la giudice Albano sottolinea come in ogni caso l’eventuale riaccompagnamento in Slovenia di colui che non è richiedente asilo «debba essere disposto con provvedimento amministrativo motivato, notificato al soggetto interessato e impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria. L’Accordo di riammissione può quindi comportare che le operazioni avvengano con modalità semplificate, ma non può comportare deroghe a norme di legge vigenti con la conseguenza che un provvedimento amministrativo deve, comunque, essere adottato».

Il ritorno al rispetto della legalità nella gestione degli arrivi dei richiedenti asilo nel confine italo-sloveno deve essere una priorità assoluta del nuovo Governo che si è appena insediato. Si tratta di un Esecutivo che, allo spegnimento degli annunci sfavillanti che ne avevano accompagnato la nascita, sembra configurarsi come il governo dei modesti più che quello dei migliori, ma ciò non lo esime dall’obbligo di conseguimento dell’obiettivo di cui sopra perché l’Italia non può in nessun caso continuare a violare in modo così brutale il proprio ordinamento democratico. Scegliendo, se lo farà, di dismettere la sua partecipazione alla catena dei respingimenti, l’Italia potrebbe anche decidere di assumere con un minimo di credibilità un ruolo che finora non ha mai avuto in Europa, ovvero quello di motore di una effettiva riforma del Regolamento Dublino III nella direzione che indicavo sopra.

Di tale cruciale riforma beneficerebbero in particolare tutti i paesi Ue del Mediterraneo, compreso il nostro, nonché i Paesi Ue e non Ue dell’area balcanica. Scegliere questa strada significa modificare in profondità la pessima proposta di patto per le migrazioni e l’asilo avanzato dalla Commissione basato su un impianto la cui pericolosità è visibile con particolare chiarezza proprio guardando alla rotta balcanica.