Brando Benifei è il capo delegazione del Pd al Parlamento europeo, voluto da Nicola Zingaretti e riconfermato da Enrico Letta. In prima linea sui temi dei diritti umani, tra i proponenti la cittadinanza europea a Patrick Zaki, Benifei non accetta una torsione “securista” nell’affrontare la tragedia dei migranti morti in mare o respinti a Ceuta.

L’Europa, e la sinistra in essa, è malata di “securismo”?
Il problema di fondo è l’incapacità dell’Europa di agire insieme su fenomeni globali come è quello delle migrazioni. Enrico Letta parlando oggi (ieri per chi legge, ndr) a Bruxelles con l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha ribadito un concetto forte: non si può procedere con le politiche migratorie all’unanimità. Serve il coraggio di costruire sulle migrazioni quella che si chiama una “cooperazione rafforzata”. Ciò vuol dire che dieci-quindici-venti, non tutti i ventisette, stabiliscono insieme che si redistribuiscono i richiedenti asilo, che si fa una politica coordinata, anche in termini di investimento, sui Paesi di partenza. Non c’è tema più divisivo di questo per le forze politiche e i governi europei. Il Parlamento europeo aveva già cercato di riformare il Regolamento di Dublino nella scorsa legislatura, per ricostruire i ricollocamenti obbligatori, e la riforma si è bloccata perché i governi non trovavano un accordo. Quella di una “cooperazione rafforzata” tra Paesi europei, rilanciata da Letta, è la strada da percorrere senza più tentennamenti. Aspettare che ci sia l’unanimità su questi temi è aspettare un momento che non arriva. Mentre noi abbiamo sbarchi, persone che soffrono e che muoiono. E poi serve una grande politica di verità nei riguardi dell’opinione pubblica.

Quale verità e come provarci?
Ci abbiamo provato quando, con una delegazione di eurodeputati del Pd, siamo stati al confine tra la Bosnia e la Croazia alla fine di gennaio. Quell’iniziativa ha avuto una qualche risonanza mediatica perché siamo stati bloccati dalle autorità croate. Con la nostra presenza lì, abbiamo voluto porre l’attenzione su un punto: stiamo parlando di esseri umani, non oggetti, non pacchi. I richiedenti asilo non votano, ma votano quelli che possono orientare l’azione dei loro governi e dire che, né sulle rotte via terra né su quelle via mare, vogliamo essere complici di omicidi. Sulla Libia, come Europa e come Italia, dobbiamo essere più determinati e coraggiosi. A Tripoli c’è un nuovo governo, l’Ue deve dire: noi cooperiamo, investiamo, ma bisogna svuotare i campi libici con corridoi umanitari legali e sicuri che portino alcune migliaia di persone, perché di questo parliamo, in Europa. E dobbiamo avere il coraggio della verità davanti alle opinioni pubbliche nazionali, dicendo chiaramente che si tratta di persone che fuggono dalla morte, dalla catastrofe climatica e in molti casi dalla persecuzione etnica e religiosa.

Oggi il Pd offre di sé l’immagine, non accattivante, di una confederazione di fazioni. Letta vorrebbe riformarlo. Ma non è una “mission impossible”?
No, non lo è. Penso invece che proprio la scelta di Letta di aprire una grande fase di discussione dentro il Pd, sia la strada giusta, anche se tutt’altro che in discesa, per superare il correntismo esasperato che ha danneggiato il partito in questi anni. Perché si trattava di correnti solo di potere e non certo di pensiero. La scelta del segretario di lanciare le agorà democratiche, e aprire quindi una stagione di confronto a tutto campo che inizierà a luglio e durerà sei mesi con la società italiana, è quella giusta per riposizionare il Pd su temi fondamentali. Ad esempio sulle politiche per dare autonomia ai giovani italiani: la proposta di Letta di una dote per i diciottenni, l’eredità universale da finanziare con le tasse di successione sui più ricchi va nella giusta direzione. E poi sulla politica internazionale, di fronte a un mondo che dal Sud America alla Cina al Medio Oriente è in grande trasformazione. In questi anni è mancato un pensiero e va ricostruito, per farlo serve di aria nuova, bisogna puntare su una nuova classe dirigente di giovani, di giovani donne, che siano protagonisti del rinnovamento a partire dai territori, dalle amministrazioni locali, già con le prossime elezioni in importanti Comuni e Regioni. Letta ci sta provando, investendo sul futuro.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.