Gran regalo dei giudici della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ai Paesi europei che sbattono fuori dalla frontiera gli immigrati appena riescono a metter piede in territorio europeo, senza lasciargli vedere un avvocato.  D’ora in poi lo potranno serenamente fare senza identificarli, senza dargli il tempo di chiedere assistenza legale e presentare domanda d’asilo. Non c’è più rischio di incappare in ricorsi individuali a Strasburgo per violazione dei diritti umani. Perché Strasburgo ormai ha detto che si può. Con una sentenza inappellabile, il 13 febbraio i 17 giudici che formano la Sala grande della Corte hanno ribaltato, accettando un ricorso di Madrid – al quale si erano uniti anche i governi di Italia, Francia e Belgio – una sentenza del 2017 della stessa Corte e hanno stabilito che il respingimento sommario di due (aspiranti) immigrati africani riusciti a varcare le grate della enclave spagnola di Melilla nel 2014, acciuffati dalla polizia spagnola e risbattuti in Marocco senza consentirgli di presentare domanda di asilo, non viola il divieto di realizzare espulsione sommarie collettive previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani. Né viola il sacrosanto diritto a presentare un ricorso effettivo contro una decisione ingiusta. Molto interessanti le motivazioni scovate dai giudici. Un saggio di spietata ipocrisia.

La sentenza – letta in cinque minuti a una platea semideserta dal presidente della Corte, il giudice greco Linos-Alexandre Sicilianos – stabilisce che i due africani hanno deliberatamente «deciso di non usare i procedimenti legali che esistono per entrare in territorio spagnolo in maniera legale» e quindi, quello che è successo dopo, il loro arresto da parte della Guardia civile e il loro respingimento immediato senza che gli fosse concesso di vedere un medico o un avvocato, «è conseguenza della loro condotta». «I querelanti avevano anche accesso alle ambasciate e ai consolati spagnoli, nei quali secondo la legge chiunque può presentare una petizione per protezione internazionale».

Non imbarazza i 17 giudici il fatto evidente che non esistono procedimenti legali, reali, efficaci perché un trentacinquenne del Mali o della Costa d’Avorio possa educatamente chiedere ingresso in Europa, attendere anche a lungo e avere la remota possibilità di ottenerlo. «L’assenza di un procedimento individuale» per l’espulsione, cioè la violazione della legge europea da parte di Madrid, è stata perciò colpa dei due africani, secondo il bizzarro uso della logica adottato dalla Corte. Che spiega: «Non possono rendere responsabile lo Stato spagnolo dell’assenza di un ricorso legale a Melilla che gli permettesse di impugnare l’espulsione». Ovviamente la sentenza avrà un impatto nella legislazione europea in materia d’immigrazione. E anche in quelle nazionali dei singoli Paesi.

La storia è la seguente. N.D., 34 anni, cittadino del Mali e N.T., 35 anni cittadino della Costa D’Avorio, il 13 agosto del 2004 riuscirono insieme a settanta altre persone a saltare le due grate che separano Melilla dal confine africano. Ceuta e Melilla sono due enclave spagnole in Marocco protette da due alte grate coperte di filo spinato tirate su a due metri di distanza l’una dall’altra.
Se riesci ad arrampicarti sulla barriera e a lasciarti cader giù senza rimanere attaccato al filo spinato, ad arrampicarti sulla seconda barriera e a saltare giù senza rimanere impigliato e senza farti sparare addosso dalla Guardia civile, sei in territorio europeo. Furono presi dalla polizia e risbattuti in Marocco immediatamente insieme a tutti gli altri arrestati quella mattina. Fecero ricorso appellandosi al fatto che le leggi europee vietano i respingimenti sommari collettivi. Ricorso accolto. La Corte di Strasburgo, con comodo, nel 2017, ha condannato Madrid per la pratica che viola il diritto ad essere identificato, a chiedere un legale e a presentare domanda d’asilo: ha detto che non si doveva fare, anche se poi si è limitata a stabilire un risarcimento di 5 mila euro a ciascun ricorrente.