Di un cambiamento incisivo c’è indubbiamente bisogno rispetto a una forma di governo nata debole negli anni della Guerra Fredda ma per stabile ed efficiente deve essere presidenziale? Sgombriamo anzitutto la strada dalla forma presidenziale in senso stretto, americana, fondata sulla separazione delle istituzioni: garantisce un governo stabile, ma decisamente meno efficiente della nostra per i rischi di paralisi tra Parlamento e Presidenza. Nessuno può ragionevolmente proporla.

Si può invece riflettere sul semipresidenziale francese, l’unico praticato da una democrazia della stessa nostra dimensione, magari con la correzione a suo tempo immaginata da Vedel, oggi rilanciata da Derosier, quella dell’elezione contestuale lo stesso giorno del Presidente e della Camera politica con analogo sistema maggioritario.

Nella commissione dei saggi del Governo Letta la soluzione francese era stata sostenuta da vari costituzionalisti, in primis Beniamino Caravita, ma è oggi il migliore? Non credo, per due ragioni. La prima è che, potendo scegliere, optare per un modello in cui il capo dello Stato non è garante super partes, ma il vertice del continuum col Governo e la maggioranza, concentra molto il potere. La seconda è che ci porterebbe in una direzione diversa a quella che si è rilanciata con le ultime elezioni, che invece vede un continuum tra Presidente del Consiglio e maggioranza. Non dovrebbe forse una riforma assecondare i movimenti in atto dando loro coerenza? Ex facto oritur ius.

Meglio quindi puntare su un modello che presidenzializzi la forma parlamentare, quello che Duverger chiamava neo parlamentare, in cui il Governo, prima che nascere dalla fiducia parlamentare, sorge dal voto degli elettori. Però attenzione ai dettagli. C’è chi propone di farlo con un modello rigido, di elezione formale del Primo Ministro col sistema aut simul stabunt aut simul cadent tra Premier e Camera, che riproduce quanto avviene per Comuni e Regioni. Il Capo dello Stato continua a esistere come garante, ma gli verrebbe precluso qualsiasi intervento su nomina del Governo e su scioglimento, svuotandone la figura.

Siamo sicuri di volere una soluzione così estrema? Mi sembra che, come proposto dal testo Salvi sul Premierato alla Commissione D’Alema e dalla maggioranza della commissione di esperti del Governo Letta ci possa invece essere una soluzione neoparlamentare forte ed efficace ma meno rigida, basata sui seguenti elementi: a) un sistema elettorale a doppio turno nazionale, majority assuring o decisivo con indicazione pre-elettorale dei candidati alla guida del Governo ma con unico voto, ossia secondo una celebre espressione di Elia “una forma di governo e una legge elettorale che facciano emergere da una sola consultazione degli elettori la maggioranza parlamentare e l’indicazione del Presidente del Consiglio in modo da incorporare la scelta del leader nella scelta della maggioranza”; b) un unico rapporto fiduciario (o con una sola Camera o con il Parlamento in seduta comune) del solo Presidente del Consiglio, oltre al poter richiedere la revoca dei ministri; c) lo spostamento parziale sul Presidente del Consiglio del potere di scioglimento come deterrente contro le crisi; d) la sfiducia costruttiva a maggioranza assoluta dei componenti; e) una corsia preferenziale per il Governo in Parlamento che riduca l’anomalia dei decreti; f ) uno Statuto dei gruppi di opposizione e l’innalzamento di alcuni quorum di garanzia nelle istituzioni, nonché l’abbassamento di quello previsto per i referendum, in modo da valorizzarli come contropotere.

Se si vuole dialogare seriamente bisognerebbe comunque, da parte degli schieramenti principali, non rilanciare più due scelte pensate solo per finalità di parte, che rischiano di avvelenare i pozzi prima di cominciare. Nel campo delle opposizioni i tentativi di eliminare le coalizioni preelettorali perché a sinistra è difficile farle, ma è appunto un problema di parte, in termini di sistema Ruffilli aveva già spiegato che in Italia, dove i partiti non sono in grado di realizzare coalizioni stabili dopo il voto intorno al leader espresso dalla prima forza, le coalizioni elettorali, pur insufficienti, sono necessarie.

Nel campo della maggioranza l’avversione ai doppi turni elettorali, che deriva solo dalla preoccupazione di essere scavalcati nel ballottaggio dalla fusione degli elettorati avversari, ma che, nelle situazioni in cui si parte da un certo grado di frammentazione, sono il modo più normale e democratico, dando all’elettore due scelte diverse, di costruire maggioranze. Quindi partiamo da ciò che c’è (la forma parlamentare), ma esplicitando ciò che è sullo sfondo e merita di emergere per rendere il vaso di coccio un vaso di ferro: un Presidente del Consiglio che sulla base del consenso elettorale attribuitogli unitamente alla sua maggioranza abbia conseguenti poteri e responsabilità, in un rinnovato sistema di equilibri.

Stefano Ceccanti

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