Letture
Il libro
“Non piangere” di Salvayre: la tragedia della Repubblica spagnola. Così lontana eppure sempre vicina
«L’estate radiosa di mia madre, l’anno funesto di Bernanos, il cui ricordo rimase piantato nella memoria come un coltello, ad aprirgli gli occhi: due facce della stessa medaglia, due esperienze, due visioni, che da qualche mese sono entrate nelle mie notti e nei miei giorni, dove lentamente restano in infusione». L'”estate radiosa” è quella del 1936, Spagna – e già associare quell’anno a quel paese restituisce la vertigine della storia, della lotta, della guerra. C’è una madre, Monse, che racconta alla figlia le cose di quel tempo, e lei (la figlia, cioè la scrittrice francese Lydie Salvayre) ci consegna letterariamente tutto il dramma di quel tempo in questo struggente “Non piangere” (Prehistorica Editore, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala) che le è valso il prestigioso Premio Goncourt.
Lydie Salvayre infatti è «la vera Milady della narrativa francese», secondo la definizione di Marcello Fois che firma la prefazione, possiede una voce molto particolare, forte, “ribelle” laddove Annie Ernaux – per dire – sceglie le note di una memoria intima e sommessa. Questo è stato definito da L’Express «un romanzo furioso», radicalmente antifascista, all’ombra del grande scrittore cattolico George Bernanos de “I cimiteri sotto la luna”, un atto d’accusa antifranchista e mirabile rievocazione di giorni e passioni violentissime: il ’36, il ’37, la gioia per la Repubblica in cui tutto pareva una festa e poi la sua agonia, la sua fine sotto gli occhi, anzi, con il sostegno, della Chiesa di Spagna (e del Vaticano).
Dunque ecco Monse, la madre che alla fine, «mettendo un piede dietro l’altro», arriverà in Francia, in Linguadoca – ecco perché Salvayre scrive in un francese marchiato da un forte spagnolismo. Cosa che ha messo a dura prova le ottime traduttrici – racconta di lei, della sua famiglia lacerata tra il marito Diego, comunista, e il fratello Josè, libertario, a simboleggiare lo scontro interno alla Repubblica, una delle pagine più terribili della storia della democrazia mondiale, che viene qui rievocato attraverso queste due grandi figure letterarie. Quando Josè muore in uno scontro con i falangisti, in Diego, il comunista, sorgono dubbi laceranti: «Quanto alle idee libertarie, che assaporava come un frutto proibito, instillavano in lui il lento veleno del dubbio, e il dubbio a poco a poco invadeva ogni cosa. Ma a che ci si può aggrappare, si chiedeva, quando tutto vacilla? A chi ci si può affidare, a quali modelli, a quali sistemi? E come si fa a continuare a combattere?».
Mentre infuria la violenza franchista contro cui Bernanos si ribellò prima di lasciare per sempre l’amata Spagna, la Repubblica si sgretola dal di dentro, persino nella testa dei suoi costruttori. I sogni della Barcellona del 1936 dove «la folla sembra percorsa da un incredibile sentimento di simpatia, di amicizia, di bontà» tra i ragazzi sui camion imbandierati e le donne in pantaloni, la musica, l’alcol e i comizi, evaporano sotto i massacri dei fascisti spagnoli. Tanti anni dopo, ormai vecchia, Monse racconta tutto questo sulla sua carrozzina. Certo, le dice Lydie Salvayre, “non piangere”. Il dolore è lontano ma è vicinissimo, ancora.
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