L’Occidente appare compatto nei riguardi della Corte penale internazionale. La richiesta da parte del procuratore Karim Khan per i mandati di arresto nei confronti del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, del ministro della Difesa Yoav Gallant, e dei tre leader di Hamas (Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh) ha sollevato una reazione generalmente negativa.

Dagli Stati Uniti si è scatenata l’ira di Joe Biden e del suo segretario di Stato, Anthony Blinken, che hanno accusato il procuratore di equiparare Hamas e Stato ebraico e di mettere a rischio i negoziati. Ancora più duro lo speaker della Camera Usa, Mike Johnson, secondo cui i repubblicani pensano addirittura a sanzioni contro la Corte penale internazionale. “In assenza di una leadership da parte della Casa Bianca, il Congresso sta esaminando tutte le opzioni, comprese le sanzioni, per punire la Corte penale internazionale e garantire che la sua leadership subisca conseguenze in caso proceda. Se si permette alla Corte penale internazionale di minacciare i leader israeliani, i nostri leader potrebbero essere i prossimi”, ha detto Johnson, “non si può permettere ai burocrati internazionali di utilizzare la legge per usurpare l’autorità delle nazioni democratiche che mantengono lo stato di diritto”. Parole durissime, che hanno confermato come l’agenda estera sia entrata pienamente non solo all’interno della politica americana, ma soprattutto nella corsa per le presidenziali.

Reazioni piccate sono arrivate anche dal Regno Unito e dall’Italia. Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha definito la richiesta di Khan “completamente inutile”, con mandati che “non favoriranno una pausa” nella guerra in corso. Mentre da Roma, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto che “non si può equiparare un Paese democratico con un’organizzazione terroristica che è la causa di tutto ciò che sta accadendo”. Netta la presa di posizione della Germania, che, come ha dichiarato il ministero degli Esteri, “ha sempre sostenuto” la Corte penale internazionale, ma i capi di Hamas “sono responsabili di un barbaro massacro in cui uomini, donne e bambini sono stati assassinati, violentati e rapiti in Israele il 7 ottobre nel modo più brutale”. E per Berlino, “il governo israeliano ha il diritto e il dovere di proteggere e difendere la sua popolazione da tutto ciò”, pur applicando “il diritto internazionale umanitario e tutti i suoi obblighi”. La levata di scudi appare quindi generalizzata.

Ma tra le file dei Paesi europei, c’è qualcuno che ha assunto posizioni diverse, certificando così una certa eterogeneità di vedute nei riguardi delle scelte israeliane. Ed è dalla Francia e dal Belgio che sono arrivate le dichiarazioni più significative. Il ministero degli Esteri transalpino ha detto che la Francia “sostiene la Corte penale internazionale, la sua indipendenza e la lotta contro l’impunità in tutte le situazioni”. E dello stesso avviso è apparso il ministro belga, Hadja Lahbib, che su X ha precisato che “i crimini commessi a Gaza devono essere perseguiti ai massimi livelli, indipendentemente dai responsabili”. Da Parigi, il ministro Stephane Sejourne ieri ha poi cercato di correggere il tiro, sostenendo che “le richieste simultanee di mandati di arresto non dovrebbero portare a creare un’equivalenza tra Hamas e Israele”.

Ma il segnale che arriva da Parigi è chiaro. E come accaduto anche per le istituzioni dell’Unione europea, si è voluto evitare di criticare in modo diretto le azioni del procuratore e la possibile imputazione per crimini contro l’umanità e crimini di guerra nei riguardi di Netanyahu e Gallant. Una scelta politica, quella della Francia (più di quella del Belgio), che non è passata inosservata dai media americani. La Cnn, in particolare, ha parlato di Parigi come di una Paese che spacca il fronte tra le potenze europee e gli Stati Uniti. E molti altri osservatori hanno ricordato la politica di Emmanuel Macron, che non ha mai lesinato critiche nei confronti di Israele per come sono state condotte le operazioni nella Striscia di Gaza. Già nelle prime fasi del conflitto si erano osservate delle divergenze tra l’Eliseo e l’esecutivo guidato da Netanyahu, con parole molto dure del presidente soprattutto per gli effetti dei bombardamenti israeliani sulla posizione civile. Più di recente, Macron ha avvertito il premier dello Stato ebraico sulla possibile offensiva a Rafah e condannato “fermamente” le politiche sulla colonizzazione dei territori palestinesi. E quando Macron si è mostrato molto vicino allo Stato ebraico, la levata di scudi è giunta proprio da molti diplomatici del Quai d’Orsay, che hanno accusato il capo dello Stato di mettere a rischio il tradizionale equilibrismo francese in Medio Oriente. Una politica che adesso si rispecchia anche nella presa di posizione sulla Corte penale internazionale. E che mostra ancora una volta la strategia dell’Eliseo: intenzionato a non abbandonare quella regione dove ha sempre avuto una sua sfera di influenza.