I temi di giornata si concentrano sui due principali avvenimenti di ieri: la morte di Raisi e l’incriminazione di Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale. Episodi che a seconda dei loro sviluppi saranno in grado di incidere su vari fronti interni: in Iran bisognerà scoprire chi prenderà il posto del defunto presidente (in molti ritengono che possano prevalere le forze più radicalizzate che intendono lavorare sulla repressione delle spinte alla libertà), mentre sul fronte Israeliano bisognerà capire che cosa provocherà la decisione del tribunale con sede all’Aja.

L’incriminazione di Netanyahu

La Corte, che ieri ha incriminato il primo ministro e i capi di Hamas, non è un organismo delle Nazioni Unite: si occupa di perseguire individui responsabili di crimini internazionali come genocidio e crimini di guerra. La sua giurisdizione è complementare a quella degli Stati ed accettata da quelli che hanno ratificato questo statuto di Roma. E questa è una precisazione importante da fare: l’incriminazione di ieri avvenuta da parte del procuratore della Corte penale Internazionale, è un fatto evidentemente politico, non riguarda una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, ma è una richiesta di arresto. Incriminazioni del genere ci sono state anche in passato, anche Putin lo è stato lo scorso anno, e il suo caso è rimasto totalmente lettera morta. La motivazione sta nel fatto che la Corte penale internazionale non è riconosciuta da molti Stati, anche molto importanti come Russia e Cina. Una precisazione, essenziale, che non si trova spesso specificata.

Netanyahu, nessuna crisi

Ora, si poteva pensare – devo dire, lo pensavo anche io nelle ore successive alla incriminazione – che questo atto da parte della Corte Penale Internazionale potesse facilitare la crisi politica di Netanyahu.
In realtà al momento quello che è successo nelle ore successive è che anche gli oppositori di Netanyahu si sono grosso modo schierati con lui. E quindi da questo punto di vista, almeno al momento, la posizione di Netanyahu non sembra indebolita. L’intreccio tra queste vicende nel Medio Oriente continuerà ad essere molto significativo e a occupare non solo le prime pagine, ma la realtà globale di un’area fondamentale.

Il gioco del Medio Oriente

Quando parliamo di Medio Oriente infatti, parliamo di un’area che in qualche modo richiama e attualizza quel grande gioco di cui parla Peter Hopkirk in un libro famosissimo, che è il ‘Grande Gioco’ che nell’Ottocento coinvolgeva le grandi potenze Russia e Gran Bretagna nell’area Medio Orientale, in particolare in Afghanistan e in quella che allora si chiamava Persia, cioè nell’Iran di oggi. Quel grande gioco che si svolgeva nell’Ottocento nel Medio Oriente si è ora allargato con soggetti che hanno assunto un’importanza crescente, a partire dalla Turchia, che ha un ruolo essenziale nel perimetro, fino poi al Qatar o all’Arabia Saudita, che in particolare intende svolgere un ruolo cruciale nella modernizzazione dell’area, anche superando una sorta di complesso di subalternità che in qualche modo gli arabi hanno maturato nel dopoguerra nei confronti di Israele.

Tratto dal Podcast RifoNews di martedì 21 maggio