«Ci sono tanti modi per divertirsi e creare socialità e momenti di incontro alternativi rispetto alla droga che è morte, merda, che rovina cervello, cuore e anima. È incredibile che ci siano partiti che presentano emendamenti al dl ristori e si preoccupano di canne e dello spaccio. È la realtà al contrario». Il leader della Lega, Matteo Salvini, in conferenza stampa stamattina al Senato insieme ad altri esponenti del Carroccio per presentare il progetto “Droga Zero” lo ha detto chiaramente: la proposta di regolamentazione del settore della cannabis light (l’ultima è del Movimento 5 Stelle, proprio al decreto ristori) va ostacolata in tutti i modi perché “la droga fa male, tutta”. La commercializzazione dei derivati della canapa, quindi, deve essere limitata il più possibile e «chiunque venga trovato in possesso di qualunque quantità di qualunque tipo di droga non può rimanere a piede libero».

Posizione politica che sarebbe legittima, se si avessero motivazioni valide: peccato che quella andata in scena assieme al capogruppo Massimiliano Romeo, il senatore Simone Pillon (protagonista della contestata proposta di riforma sull’affido), l’ex ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e il portavoce del Family Day Massimo Gandolfini, è stata purtroppo una conferenza-guazzabuglio di tesi ardite ed elementi scientifici mischiati in maniera confusa.

Ma andiamo con ordine. L’ultima proposta sulla cannabis light, avanzata dal senatore Francesco Mollame e da tre colleghi (Piarulli, Naturale e Angrisani) punta a regolamentare la filiera della canapa e vuole la liberalizzazione della sostanza e dei suoi derivati con Thc al di sotto dello 0,5%. Il settore della cannabis light vale oggi in Italia circa 150 milioni di euro all’anno, con 15mila operatori tra diretti e indiretti, di cui l’80% sotto i 32 anni. Si tratta del ramo della green economy che negli ultimi anni ha maggiormente sviluppato occupazione giovanile, aiutando tantissime imprese agricole che erano andate in crisi. In Italia, benché sia consentita la vendita di prodotti a base di Cbd (principio attivo della canapa che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità non procura sballo, ma ha capacità rilassanti e antidolorifiche) e con pochissimo Thc (il principio attivo oltre una certa soglia sicuramente drogante), non esiste ancora una regolamentazione vera e propria del settore, che potrebbe anche portare centinaia di milioni di euro di tasse aggiuntive all’anno nelle casse dello Stato.

Lo scorso mese il Ministero della Salute in un decreto aveva inserito tra i medicinali con sostanze stupefacenti “le composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis”. In pratica aveva impedito la vendita di oli, unguenti e balsami a base di Cbd, che rappresentano il 40%-50% di fatturato del settore, mettendo in crisi diversi esercenti. Dopo le proteste era arrivata la sospensione del decreto e l’apertura a una regolamentazione da parte di LeU e Movimento 5 Stelle. Nel frattempo giovedì scorso, 19 novembre, la Corte di giustizia europea ha ribadito in una sentenza a favore di un’azienda francese che il Cbd non è uno stupefacente perché “non sembra avere alcun effetto psicotropo o alcun effetto dannoso sulla salute umana”. Per questo ha stabilito che non si può vietare la commercializzazione dei prodotti a base di cannabidiolo in tutta Europa, purché il principio attivo sia estratto dalla pianta di cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi.

Massimiliano Romeo, oggi, ha ricordato che «Salvini da ministro dell’interno provò giustamente a chiudere i negozi di cannabis light». Subito dopo Pillon, che ha messo in evidenza il cambio di passo del ministro Roberto Speranza (per il Carroccio negativo), ha specificato che studi dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) e dell’Ema (Agenzia europea del farmaco) hanno messo in evidenza la pericolosità del Cbd. Sbagliato: entrambi parlano della cannabis e la marijuana in generale sostenendo gli effetti positivi del Cbd (soprattutto in ambito medico, per questo sono nati farmaci appositi contro sindrome di Dravet e sindrome di Lennox-Gastaut) e elencando alcuni aspetti negativi del Thc. Invece il Consiglio superiore di sanità ha specificato la possibile pericolosità dei prodotti a base di Cbd, con qualsiasi livello di Thc, per alcune fasce di popolazione (minorenni, donne incinte ed anziani), perché non ci sono abbastanza studi in materia. Al momento però, dei migliaia di report scientifici internazionali che esistono, nessuno dimostra la pericolosità del cannabidiolo e solo alcune decine sostengono che ogni livello di tetraidrocannabinolo è potenzialmente nocivo.

Se proprio esistono, allora, le perplessità dovrebbero essere più sui livelli del Thc che sul Cbd e prima di stroncare un settore andrebbe verificato una volta per tutte l’effetto del primo principio attivo anche in dosi ridotte ed eventualmente sconsigliare/vietare l’uso dei prodotti di cannabis light per certe categorie.

Ma le argomentazioni della Lega non finiscono qui: secondo i relatori i prodotti della cannabis light possono essere acquistati per essere distillati e ottenere canne vere e proprie. Vero, ma nel concreto, come spiega a Il Riformista Luca Fiorentino, titolare dell’azienda Cannabidiol distribution, ci vogliono da 200 a 1000 euro di spesa per comprare la cannabis light, il butano e la strumentazione adatta. Dopo una lavorazione chimica con diversi passaggi non semplicissimi, da circa 12g di inflorescenza che si acquista nei negozi si arriverebbe a 1g di “marijuana” vera e propria. Insomma: non proprio un affarone per chimici improvvisati, vista la terribile facilità con cui ci si può rivolgere a spacciatori decisamente più economici. E infatti non si hanno notizie di questo tipo di produzione di cannabis di massa: semplicemente non conviene.

Infine i relatori hanno parlato di una più generale liberalizzazione della cannabis, sostenendo che il governo italiano stia andando verso il modello dello “Stato spacciatore”. Ma regolamentazione della cannabis light e liberalizzazione della marijuana sono due cose molto diverse. E la seconda non sembra nemmeno nel radar di questo governo, con solo alcuni esponenti della maggioranza, isolati, che la chiedono.

«Passato il Covid faremo altri tamponi ai parlamentari, passeremo dal tampone ai test antidroga. Se fai le leggi e incidi sulla vita degli italiani devi dimostrare di essere lucido» ha detto in chiusura Matteo Salvini. Giusto, si controllasse però anche la cultura generale e il livello di preparazione scientifica di chi si vuole occupare politicamente di prodotti che con la marijuana hanno poco a che fare e che con gli introiti che generano danno da mangiare a quasi 6mila famiglie italiane.