Nessuna voce e nessun demone nella testa dell’omicida di Chiara Gualzetti, 15 anni appena compiuti assassinata in un parco a due passi da casa lo scorso 27 giugno a Monteveglio, nel Bolognese. Ha impugnato il coltello da cucina con lucidità e freddezza nell’agire, ma soprattutto assolutamente capace di intendere e volere. Lo psicanalista esperto di minori Mario Vittorangeli ha compilato una perizia di oltre cento pagine, dettagliatissima, frutto dei numerosi incontri avuti nel carcere del Pratello con il 16enne per rispondere alla domanda del pm dei minori titolare del fascicolo, Simone Purgato, che chiedeva se fosse “pienamente o parzialmente” in grado di intendere e volere. La risposta è arrivata tanto secca quanto raggelante.

Per questo motivo il ragazzo potrà prendere parte al processo. È stato messo un importantissimo punto fermo, necessario per fare piena luce sull’atroce morte di Chiara. Picchiata e accoltellata sulla collinetta ai piedi dell’abbazia di Monteveglio, a due passi da casa. Il capo d’accusa che pesa sulla testa del 16enne è ‘omicidio premeditato aggravato dai futili motivi’. Appena poco più grande di lei, un’amicizia nata sui social, poi un mese da stagista come elettricista sul furgone di Vincenzo Gualzetti, papà di Chiara, e qualche pranzo nella loro abitazione in via dell’Abbazia. “Tutti gli stagisti di Enzo – ricordò Giusi, moglie di Vincenzo e madre di Chiara – una volta si sono fermati da noi”.

L’ultimo messaggio di quello che è poi diventato il suo assassino le dava appuntamento al giorno successivo: “Ci vediamo domani alle 9.30”, le aveva scritto la sera prima. Poi l’arrivo in bici, pedalando per quella manciata di chilometri che separano l’abitazione di Chiara dalla sua, con in spalla lo zaino e la lama nascosta dentro. All’orario stabilito, i due verranno ripresi dalle telecamere dei Gualzetti: lei che gli corre incontro, lo abbraccia, gli accarezza i capelli, poi a piedi verso l’Abbazia.

Il vocale all’amica pochi minuti più tardi: “L’ho fatto”, con il corpo di Chiara esanime abbandonato nei campi. Altri messaggi vennero inviati, chat poi cancellate dal sedicenne poco prima di andare per la prima volta in caserma dove crollò durante la seconda ’chiacchierata’ avvenuta in nottata davanti ai carabinieri della Compagnia di Borgo Panigale e al magistrato. “Lei mi stava addosso”, “Mi infastidiva”, “Voleva uccidersi ma non aveva il coraggio, così mi ha chiesto aiuto”.

A guidare la mano del ragazzo, spiegò a più riprese, sarebbe stato quel demone che “mi assilla da tempo”. Ma le voci che sentiva per il dottor Vittorangeli “non sarebbero tali da preludere a stati di delirio o allucinazioni”. Con questo nuovo atto, ora, che segue il risultato dell’autopsia dello scorso mese, la Procura è pronta a tirare le fila, chiudere l’indagine per poi chiedere il giudizio immediato.

“Lunedì dopo pranzo – raccontò la nonna del ragazzo ai Carabinieri – l’ho visto a letto. Mi sono avvicinata, ho cercato di parlargli” riguardo ai quei messaggi ’spariti’ che stavano già facendo girare molte voci in paese. “Gli ho detto: ma lo sai vero che anche dopo 15 anni la Postale le trova?”. La risposta: “Buon per loro”.

Gianni Emili

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