Sono passati 15 anni da quando Meredith Kercher, giovane studentessa inglese in Erasmus a Perugia, fu trovata morta assassinata nella casa in via della Pergola il 1 novembre 2007. Un caso mai effettivamente risolto dopo una lunga e travagliata vicenda processuale densa di colpi di scena e capovolgimenti di fronte che vide in un primo momento colpevoli Amanda Knox e Raffaele Sollecito poi assolti in Cassazione. L’unico ad aver pagato è Rudi Guede, unico condannato in concorso per l’omicidio di Meredith. Chi sia stato il responsabile non è mai stato individuato, nonostante i ripetuti appelli della famiglia Kercher. Quella drammatica notte, nella villetta di via della Pergola, c’era qualcun antro, rimasto fuori dalle indagini? “Forse, ho l’impressione che in questa vicenda ci sia molto che non è emerso“, ha detto a Repubblica, Giuliano Mignini, il pm oggi in pensione che seguì il caso Meredith.
Il magistrato ha ripercorso le fasi di quella travagliata vicenda giudiziaria nel libro “Caso Meredith Kercher” e accenna alla possibilità di approfondire e “forse anche di rivedere, almeno in parte, la vicenda giudiziaria“. Nel libro il pm fa un accenno agli “sconosciuti complici di Rudi Guede” e “di quella vicenda di droga che avevo cercato inutilmente di esplorare”. “Non rinnego nulla di quello che ho fatto con onestà intellettuale nel processo, ma sono passati otto anni dalla sentenza finale e tanti sono gli aspetti di questa vicenda, rimasta aperta, come per esempio i complici di Rudi. Perché è fuori discussione anche secondo la Cassazione che Guede non fosse solo”.
Il magistrato ipotizza la partecipazione di terzi che in qualche modo potessero essere legati al mondo dello spaccio di stupefacenti. “È un’ipotesi, un’idea che mi sono fatto da diversi anni – continua il magistrato – Non credo che la vicenda si sia svolta in maniera molto diversa da come l’abbiamo ricostruita, ma secondo me in questa storia l’elemento fondamentale è la droga e negli anni ho ricevuto diverse confidenze che spingono verso questa direzione. Ho provato a lavorare in questo senso, ma anche a processo alcuni testimoni chiamati dalla Procura sono stati delegittimati dalle difese o hanno finito per delegittimassi da soli”.
Nella postfazione della seconda edizione del libro, Magnini racconta anche del suo rapporto con Amanda Knox. La chiama “la fanciulla del West”. Era stato lui ad accusarla dell’omicidio della coinquilina inglese e a chiedere per lei l’ergastolo. Poi anni dopo l’assoluzione fu lei a scrivere al magistrato chiedendogli di incontrarlo. È successo lo scorso 17 giugno insieme al cappellano don Saulo Scarabattoli, l’ex cappellano del carcere di Perugia che ha assistito la ragazza durante la sua detenzione. Un lungo incontro di oltre tre ore. “Amanda ha manifestato più volte in pubblico il desiderio di conoscermi e nell’aprile 2019 mi ha scritto – ha raccontato Mignini a Repubblica – Da allora è iniziato un rapporto epistolare, che continua oggi e abbiamo deciso di mantenere privato. Mi chiama ‘my prosecutor’, ‘il mio pm’. In un’intervista allo psicologo Scott Barry Kaufman, dice che per lei è importante affrontare il suo accusatore, non in un contesto antagonistico ma ‘restorative’, ‘riparatore’. Penso che avesse bisogno di sentirsi dire che non l’avevo perseguitata, che non ce l’avevo con lei. È scontato, ma per lei è stato importante convincersene”.
Mignini racconta com’è oggi Amanda: “Di questa ragazza abbiamo avuto una versione molto distorta per via dei tabloid britannici, ma anche di alcuni giornali italiani. Non so quanto sia cambiata, ma ho trovato una persona in buona fede, dolce, leale, compassionevole e sensibile rispetto alle sofferenze altrui. Una giovane signora di 35 anni, felicemente sposata e accompagnata dal marito, madre di una bimba deliziosa, che si occupa di assistere le vittime di presunti errori giudiziari. Una ragazza ‘tutta cuore’, molto intelligente, molto incompresa in Europa. È sicuramente il personaggio di spicco della vicenda giudiziaria per l’omicidio di Meredith”. Il magistrato è rimasto piacevolmente stupito da quell’incontro con Amanda: “Non ho mai visto un imputato comportarsi così. L’ho incriminata, l’ho fatta arrestare, ho chiesto la sua condanna all’ergastolo. Lei voleva conoscermi e solidarizzava con me per essere stato vittima della pressione mediatica come lei. Ho aspettato di andare in pensione per accettare l’incontro, non potevo rifiutare questa mano tesa, chi sostiene che ho avuto un pregiudizio nei suoi confronti mi avrebbe attaccato”.
Il magistrato continua ad avere il sentore che sul caso ci possano essere altri elementi interessanti rimasti inesplorati sul fronte del coinvolgimento di terzi e del legame con il mondo dello spaccio. Elementi che potrebbero portare a una nuova riapertura delle indagini? “Non lo so, ma posso dire che per come si è conclusa questa indagine è rimasta monca”.
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