All’indomani della liberazione dal nazifascismo, uno dei primi atti normativi che furono promulgati dall’allora Luogotenente Generale del Regno d’Italia, Umberto di Savoia, fu la reintroduzione della scriminante della reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale quale causa di esclusione della antigiuridicità dei reati di violenza, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale (ivi compreso il “magistrato in udienza” e anche nella forma aggravata). Scriminante ora collocata nell’art. 393-bis “grazie” al principio di riserva di codice, già prevista dal liberale Codice Zanardelli e cancellata dal Codice Rocco. Proprio a significare il ritorno ad un riequilibrio dei rapporti tra pubblici poteri e diritti dei cittadini, poi riaffermato e scolpito saldamente nei princìpi della Costituzione repubblicana. A sottolineare che la pubblica autorità merita rispetto finché rispetta la dignità ed i diritti dei cittadini.

Il testo

Il disegno di legge noto come “Pacchetto Sicurezza” (d.d.l. S. n. 1236) si caratterizza invece per un ritorno ad una tutela privilegiata della pubblica autorità, propria di uno Stato e di un sistema penale autoritario che perfino Umberto di Savoia aveva sconfessato. Questo dissennato disegno di legge, infatti, oltre a meritare le critiche da cui è stato sommerso dall’Accademia (penalisti, processualpenalisti, costituzionalisti) e dall’Unione delle Camere Penali (e nel silenzio della ANM, a fronte di altre iniziative legislative invece assai pugnaci) suscita allarme (anziché rassicurare) proprio per questa connotazione di fondo: il ribaltamento dei rapporti tra autorità e libertà, tra Stato e cittadino disegnato dalla Carta Costituzionale.
Ne sono testimonianza tangibile l’introduzione di specifiche aggravanti per i reati di violenza e minaccia contro ufficiali e agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria “nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni” (pena che per le lesioni gravissime può arrivare fino a sedici anni), con la curiosa previsione di una nuova rubrica che appresta la stessa tutela anche “a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie a essa funzionali”; estensione di cui però non si fa parola nel corpo del testo della norma! A rendere “più serena” l’attività delle forze dell’ordine contribuisce poi la previsione della copertura delle spese legali fino a diecimila euro per fase processuale qualora tali soggetti, cui si aggiungono anche gli appartenenti al Corpo dei Vigili del Fuoco, siano indagati o imputati per fatti inerenti il servizio. Si autorizzano poi gli agenti di pubblica sicurezza a portare armi senza licenza anche quando non sono in servizio; si prevede inoltre una estensione delle cause di non punibilità per il personale delle forze armate che partecipa a missioni internazionali e si estendono le condotte dei servizi segreti che possono essere scriminate. Viene introdotta anche una aggravante speciale per i fatti di violenza o minaccia a pubblici agenti commessi al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o una infrastruttura strategica. La medesima logica sorregge poi l’ampliamento dei poteri del Questore in materia di “sicurezza urbana” (DASPO urbano). Nel contempo si progetta la incriminabilità anche della “resistenza passiva”.

L’oltraggio a magistrato in udienza

Insomma, v’è tutta una serie di previsioni che ricalcano gli schemi tipici di un diritto penale autoritario, antitetico a quello disegnato dalla Carta Costituzionale. E quando si va discutendo di separazione delle carriere e di “parità delle armi” tra accusa e difesa, non dovrebbe passare sotto silenzio che oggi persiste una norma, l’oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 c.p.), che tutela in modo privilegiato l’onore e il prestigio del pubblico ministero oltre che – ovviamente – del Giudice e non appresta alcuna tutela (essendo tra l’altro l’ingiuria trasmigrata nel settore dell’illecito punitivo civile) all’onore e al prestigio (qualità che non appartiene certo solo ai soggetti pubblici) dell’avvocato che sta in udienza.

La differenza con i cittadini

Insomma, si interrompe un lungo percorso teso a rendere ragionevole e proporzionata la tutela dei pubblici poteri rispetto a quella dei cittadini. A cominciare dalla nota sentenza della Corte Costituzionale del 1994, che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’oltraggio nella parte in cui ne stabiliva in sei mesi il minimo edittale (“dodici volte superiore a quella prevista per [l’ormai ex] reato di ingiuria”; previsione frutto di una concezione “autoritaria e sacrale dei rapporti tra cittadini e pubblici ufficiali”, tipica dell’era di emanazione del codice ma “estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana”. Può essere certo tollerata una tutela differenziata delle attività (non certo della dignità sociale) dei pubblici poteri rispetto a quelle dei cittadini comuni, ma pur sempre nei limiti della proporzione e della ragionevolezza.

Giovanni Flora

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