Capita spesso, nel corso dei convegni che da un anno a questa parte si fanno via web sui temi giuridici, i mitici webinar, di confrontarsi con magistrati di gran calibro che evitano accuratamente di prendere posizione su tutto quello di catastrofico che, pandemia a parte, è accaduto negli ultimi dodici mesi alla magistratura italiana. Quando qualcuno – e a me capita spesso – stravolgendo il birignao da conferenza, mette i piedi nel piatto e si permette di tirare in ballo la questione Palamara, il meglio che gli può capitare è una ostentata indifferenza da parte dei magistrati invitati. “Palamara chi?” sembra che dicano guardando all’insù o all’ingiù verso il video; e il pensiero corre alle schiere di reietti, da Trotsky in poi, trattati come incidenti della storia delle organizzazioni complesse fino ad essere cancellati dalle fotografie ufficiali. Il che, sia detto con simpatia, nel caso di specie non sarebbe neppure un dramma estetico ma sul versante della verità storica sì.

A quel punto, per non urtare la suscettibilità dei conferenzieri, e nel dubbio che la reazione sia dovuta al fatto che la sterminata rubrica, e le relative chat, dell’ex presidente dell’Anm possano essere fonte di imbarazzo per qualche partecipante, succede che qualcuno – a me capita spesso – chieda conto ai depositari della cultura della giurisdizione degli attacchi che, da Catanzaro a Milano, proprio la giurisdizione ha subito dall’interno negli ultimi tempi. In genere la cosa viene vissuta come una provocatoria mancanza di garbo e dalle finestrelle telematiche dei webinar si vedono gli interlocutori alzare gli occhi al cielo come se si stesse parlando di fatti successi a Tongatapu. «Ancora con sta’storia» sembra che dicano a microfono spento «parliamo dei problemi veri, non degli episodi» celiano quando poi hanno la parola. A quel punto succede – a me capita sempre più spesso – di cominciare a perdere la pazienza, ma per non mettere a disagio l’organizzatore del webinar ci si trattiene e si cerca educatamente di dirottare il discorso su temi meno urticanti, magari sull’irrefrenabile voglia di intercettazioni che sembra possedere gli inquirenti italiani come il demonio abitava il povero corpo di Linda Blair ne L’Esorcista.

Fenomeno testimoniato non solo dalla significativa quota di risorse che si destinano allo strumento, ma anche dal numero impressionante di ore di intercettazione contenute nei fascicoli processuali che per ascoltarle tutte ti ci vorrebbero due vite. Questo, cioè parlare di intercettazioni per sciogliere un po’ l’atmosfera, lo si fa negli ultimi tempi anche per assaporare la sottile perversione di essere, per una volta, dalla parte della gloriosa stampa giudiziaria nazionale che comincia a preoccuparsi, secondo me giustamente, della propria libertà di comunicazione perlomeno quanto se ne è infischiata di quella degli altri fin qui. Il che merita – in queste settimane mi è capitato spesso – il primo sorriso convegnistico, da trent’anni ad oggi, da parte del giornalista/moderatore che in genere tratta l’avvocato come lo zio matto che si invita per dovere sotto le feste ma ora che se lo ritrova da parte della libertà di stampa gli sorride dal web manco fosse Cronkite reincarnato con la toga addosso.

Per la verità sull’argomento intercettazioni il muro di indifferenza magistratuale ogni tanto perde qualche mattone e succede di ascoltare – mi è capitato spesso da un anno in qua – qualche timido ripensamento da parte dei giudici conferenzieri che in questo si distinguono dai pm conferenzieri, che invece respingono ogni accusa di abuso dello strumento. Ogni volta che accade gli avvocati partecipanti pensano malignamente che forse qualcosa di buono il Trojan, sia pur mal funzionante, piazzato nel telefono di Palamara l’ha prodotta. Il fatto è che a sentir dire – mi è accaduto anche questo – dai giudici/convegnisti che questi problemucci, come il complessivo squilibrio del processo, dipendono dal “gigantismo del pm”, cui si deve educatamente rispondere con qualche ritocco al codice ma – Dio ce ne scampi – non certo con riforme costituzionali, in primis la separazione delle carriere, finisco per perdere le staffe.

«Come sarebbe a dire?» comincio a urlare alla telecamerina, «il gigantismo dei pm lo avete creato voi, con la vostra giurisprudenza, i politici hanno copiato nelle leggi quello che le vostre sentenze, in qualche caso molto creative, avevano già affermato e i giornalisti lo hanno incensato perché il Terzo potere, quello vero, sta nelle Procure. È da sempre che va avanti così. È avvenuto per il giusto processo, nel ’92, per il doppio binario sempre più allargato, per le intercettazioni, per la custodia cautelare, per i processi a distanza. È successo perché siete voi ad avere una idea sbagliata del processo e del sistema giudiziario. Lo vivete come una scopa della storia destinata a raddrizzare torti sociali, se siete di sinistra, o come lo strumento per raddrizzare i molli costumi se state dall’altra parte. Tutto meno quello che dovrebbe essere.

Anche per questo, coccolati da una stampa che fa il cane da guardia agli altri poteri ma col terzo si comporta come i corgi di casa Windsor, avete costruito a forza di voti un sistema interno di progressione in carriera di cui oggi vi vergognate ma che non volete discutere in piazza, perché pensate che la giustizia, i processi, le regole, il Csm, siano di vostra proprietà, come gli arredi di casa. Siete voi che di fronte alle schiere di innocenti conclamati, in precedenza sottoposti a custodia cautelare, avete inventato una giurisprudenza salvifica per lo Stato in tema di indennizzo. Siete voi che prorogate le intercettazioni per anni. Siete stati voi, in tutto questo maledettissimo anno di Covid, a scrivere decine e decine di ordinanze con le quali avete negato a gente malmessa di andarsene ai domiciliari, mettendo giù in giuridichese ciò che Travaglio aveva teorizzato, e cioè che in galera si sta più al sicuro che fuori.

Sono trent’anni che invocate il sostegno del Popolo ogni volta che vi serve, ben sapendo che è dinamite quando si tratta di questioni giudiziarie, e ve ne accorgete solo quando assediano i Tribunali perché avete assolto qualcuno già condannato dalla ghigliottina dei processi mediatici paralleli. Sono anni che per sentirvi discutere di riforme strutturali bisogna aspettare che andiate in pensione…». Generalmente, però, non riesco a terminare l’invettiva perché qualcuno avverte che il tempo è tiranno e il webinar si deve concludere. E così, mentre i miei collaboratori escono dalle stanze vicine per entrare nella mia commentando «Avvocato, prima o poi questi webinar le saranno fatali…» chiudo il collegamento e rifletto su quanto erano meglio i convegni di una volta.