Alzare bandiera bianca vuol dire una e una sola cosa: arrendersi alla mercé del nemico. Quasi sempre l’aggressore. E rimettersi a lui, in ginocchio, offrendo il capo chino, a favore di spada. Alzata la bandiera bianca in segno di resa incondizionata (come fecero i tre disgraziati ostaggi israeliani di fronte ai propri compatrioti in uniforme, i quali per prudenza li abbatterono) è possibile “favorire i negoziati”? Ovviamente no: se ti sei arreso alzando bandiera bianca e anche le mani per mostrarle disarmate, hai, con questo, già negato la possibilità del negoziato perché non c’è più nulla da negoziare. Una resa è una resa, come la pipa di Magritte.

Ma Papa Bergoglio dice di pensarlo: arrendersi non chiude ma apre il negoziato. Tu deponi le tue armi e ti rimetti alla gentilezza dell’invasore, che non depone le armi, e vedrai da questo momento quanto è facile trattare e concludere: tu hai vinto, io ho perso e puoi fare e prendere tutto quello che vuoi. E certamente, sursum corda! Tutti vivranno felici e contenti, salvo quegli odiosi ucraini che pagheranno ad uno ad uno e in fil di spada due anni di resistenza offensivamente testarda, rinunciando alle proprie donne e bambini, armati e istruiti dagli ancor più detestabili e detestati europei e americani. Lo pensa davvero questo Papa argentino vissuto sotto la giunta Videla e innamorato del castrismo? Quanto meno, lo dice. E lo affida alle antenne della televisione svizzera sicché il mondo numericamente minoritario delle democrazie occidentali (e anche asiatiche come il Giappone) ne è sorpreso, sconcertato per il momento delicatissimo degli sforzi europei e dei democratici americani per restituire speranza, sostegno economico. In più di un caso, quello del Presidente Volodymyr Zelensky, furioso e sdegnato.

I bimbi ucraini: “Dov’è il Papa?”

Tutt’altra la reazione dell’uomo di pace Vladimir Putin e del suo circondario che dell’elogio papale della santissima bandiera bianca e dell’ancor più santa resa al nemico aggressore e invasore ne sono, tutti, commossi ed entusiasti: ecco finalmente un uomo di pace, un uomo che vuol togliere gli elmetti agli aggrediti per meglio porgere l’una e l’altra guancia.
Francesco ha veramente sorpreso il mondo e, poiché è un provetto calciatore, si può dire che l’abbia preso in contropiede con l’intervista alla televisione svizzera in cui invitava gli aggrediti ucraini a smetterla con la loro sciocca resistenza ad un gigantesco, invincibile nemico invasore, cui da due anni e con migliaia di vite sacrificate tengono ancora odiosamente testa. Nulla di nuovo sul fronte occidentale? È insorta fra i primi la ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock, una “verde” collaboratrice stretta del cancelliere socialista Scholz. Quindi non una guerrafondaia, la quale ha detto: “Non ho capito. Credo che alcune cose si possano capire solo vedendole di persona”. Anche lei lo ha detto in televisione sulla catena Ard, ricordando che tutti i governi sono andati in visita a Kiev e che quando è stato il suo turno è rimasta – racconta – impressionata dal fatto che i bambini chiedessero: “E il Papa? Dov’è il Papa? Il Papa deve sapere e forse non sa. Certo dovrebbe sapere”.

Ma Francesco ha una sua idea altamente complessa del rapporto che può correre fra resa e onorevole pace. È convinto cioè che se si smette (anzi, se l’aggredito smette di difendersi con ostinazione irritando ancora di più l’aggressore fino ad esasperarlo) ecco che il sentiero della pace si illumina come il corridoio degli aerei quando si preparano a un atterraggio di emergenza. La verità è che in questo tipo di conflitto in cui uno è l’aggressore che – non provocato – ha già agito aggredendo l’Ucraina nel 2014 prendendosi illegalmente la Crimea e parte del Donbass per passare nel 2022 all’invasione su larga scala è davvero difficile per una mente umana porsi il problema della mediazione in vista di un possibile accordo, perché le due parti non stanno cercando affatto un accordo finché una aggredisce e ruba territorio e l’altra resiste nella disperazione dell’amore per la propria terra e chiede aiuto ai popoli di buona volontà.  Ma è proprio nel momento più tragico, quello in cui la linea del decoro e del rispetto del giusto, impone scelte nette e coraggiose – “Sia la tua parola sì sì, no no” che arriva la sofferta (speriamo) alta meditazione del Sommo Pontefice: “Kiev abbia il coraggio della bandiera bianca”.

Bandiera bianca: il passato delle chiesa

Che cosa ha fatto in passato la Chiesa in situazioni analoghe? Non ci sono state situazioni propriamente analoghe, ma quando nell’agosto del 1939 la Russia sovietica di Stalin e la Germania nazista di Hitler firmarono un documento detto “Trattato di non aggressione” contenente al suo interno un trattato di aggressione della stessa Polonia, che avvenne nel mese di settembre e si concluse con una divisione della preda di cui il 51% andò all’Unione Sovietica e il 49 al Terzo Reich, la Chiesa di Roma si mosse. Era diventato Papa da pochi mesi Eugenio Pacelli con il nome di Pio XII e aveva al suo fianco due diplomatici di rara qualità e competenza come monsignor Montini, futuro Paolo VI, e Roncalli futuro Giovanni XXIII. E ad agosto, quando sovietici e nazisti firmarono il famigerato patto che fece da grilletto per l’inizio al più immane conflitto di tutti i tempi, il Papa romano tentò l’impossibile, ma lo tentò, affinché la guerra d’aggressione non scoppiasse.

Il grande apparato diplomatico della Santa sede, dove tutti a cominciare dal Papa parlavano impeccabilmente almeno tre lingue, lanciò un’offensiva di pace che non consisteva affatto nell’accodarsi alla realpolitik secondo cui tutti avrebbero fatto meglio ad accodarsi alla Germania perché era il giocatore più forte e crudele, ma nell’usare tutte le pressioni possibili e spesso sotterranee per ostacolare la vittoria del male sul bene. La Chiesa non sfolgorò sempre di limpidezza e considerazione umana, tanto che seguirono dopo la guerra astiose critiche su cosa avrebbe potuto fare e non fare “Il Vicario” – questo fu il titolo del dramma teatrale di Rolf Hochhuth negli anni Sessanta – accusato di non aver mosso un dito per fermare la Shoah, accusa rivelatasi ingiusta. Ma prima della guerra e durante la guerra a nessuno in Vaticano venne in mente di andare alla radio svizzera (la televisione ancora in Europa non esisteva) per suggerire agli aggrediti di apprezzare il colore bianco anche come quello di una bandiera, simbolo non di pace o di volontà di negoziare, ma di resa incondizionata.

I negoziati e la frittata

Neanche Papa Bergoglio, intendiamoci, ha formalmente chiesto la resa incondizionata. Anzi, ha ripetuto che la pace deve essere raggiunta attraverso il negoziato. Ma quando l’intervistatore svizzero gli ha proposto il termine “bandiera bianca”, Papa Francesco è sembrato entusiasmarsi accogliendola per rafforzare il suo pensiero a favore di un negoziato. È stato un attimo: quando Francesco ha pronunciato l’espressione “bandiera bianca” che sta per resa e sottomissione, come sintesi del suo pensiero, la frittata era ormai fatta. Le successive correzioni e spiegazioni non hanno convinto.
A chi credere? A un Bargiglio che non sa distinguere fra resa e negoziato, o a un Bergoglio callido e astuto che profitta della situazione televisiva per dire ciò che l’intero partito russo italiano ha detto fin dall’inizio dell’aggressione circa “Il dovere della resa”? Perché questo è il problema: fin dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina iniziata nel 2014 ha prevalso il silenzio dell’Occidente e della Chiesa che si è limitata alle consuete affermazioni di tipo umanitario che sono di fatto neutraliste. Le altre prese di posizione per accreditare una linea diplomatica di mediazione della Santa Sede si sono scontrate sia col “niet” scostante del Cremlino, sia con l’atteggiamento infastidito del governo ucraino che non vedeva nelle iniziative della Chiesa cattolica alcun segno di chiara e indelebile condanna dell’aggressore e solidarietà morale con l’aggredito. I rapporti tra il Papa e l’Ucraina, che si difende lottando e perdendo migliaia di vite umane perché non vuol cedere, sono andati sempre peggiorando e questa è quasi certamente la ragione per cui Francesco – sentendosi proporre dall’intervistatore svizzero l’espressione “bandiera bianca” – l’ha fatta sua con frettoloso entusiasmo come accade con tutti i lapsus che, sfuggendo, rivelano ciò che non sarebbe stato bene rivelare.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.