Donald Trump ha promesso di firmare ordini esecutivi il 20 gennaio, ovvero il primo giorno della sua presidenza, per imporre tariffe all’importazione del 25% su tutti i prodotti importati da Canada e Messico: includerebbero anche le importazioni di petrolio, oltre a una possibile tariffa aggiuntiva del 10% sulla Cina e ad altre che potrebbe decidere di imporre. Il neopresidente Usa sta esplicitamente riadottando l’approccio del primo mandato, usando le tariffe per ottenere concessioni su questioni specifiche. Questo non esclude che possa utilizzare le tariffe in futuro con obiettivi più ampi, come proteggere le industrie nazionali o aumentare le entrate fiscali.

In questo caso però Trump ha accusato la Cina di non essere intervenuta per fermare il traffico di Fentanyl, suggerendo al contempo che Canada e Messico non stiano facendo abbastanza per prevenire il traffico di droga e l’immigrazione illegale. Ha dichiarato che entrambi i paesi hanno il “potere di risolvere facilmente questo problema che si trascina da tempo” e che “fino a quando non lo faranno, è giusto che paghino un prezzo molto alto”. L’implicazione sembra essere che potrebbero evitare queste tariffe presentando piani credibili per intervenire e ridurre l’offerta di droga o rafforzare i controlli alle frontiere, proprio come il Messico evitò una minaccia simile da parte di Trump nel 2019. I paesi colpiti sembrano più propensi – almeno inizialmente – a rispondere impegnandosi in cooperazione, piuttosto che minacciando ritorsioni. Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha già parlato con The Donald riguardo questa nuova minaccia, mentre il ministero degli Esteri cinese ha osservato che “la Cina rimane pronta a continuare la cooperazione antidroga con gli Stati Uniti”.

Se Trump dovesse effettivamente applicare le tariffe, i tre paesi potrebbero sentirsi obbligati a rispondere, anche se è probabile che eventuali misure vengano progettate per limitare i danni economici e ridurre al minimo il rischio di contromisure. Il repubblicano sembra muoversi molto più rapidamente rispetto al suo primo mandato, quando le prime tariffe vennero imposte circa un anno dopo l’inizio della presidenza. Potrebbe imporre una tariffa universale del 10% sulle importazioni già nel secondo trimestre del prossimo anno, nonostante le speculazioni secondo cui alcune delle sue nomine di gabinetto più moderate potrebbero rappresentare un freno a questi piani.

Per Trump non esistono alleati, solo avversari. Ora nel mirino ci sono Canada e Messico, ma l’Europa potrebbe facilmente essere il prossimo bersaglio. Gli accordi di libero scambio esistenti non salveranno i paesi, e sembra che il presidente in pectore abbia l’autorità per imporre questo tipo di tariffe tramite ordini esecutivi. Anche se Canada e Messico riuscissero a placare Trump, l’accordo commerciale USMCA offre poca protezione contro la proposta tariffa universale. I rischi sul fronte economico appaiono particolarmente gravi per il Messico, dato che il paese si trova al centro di importanti investimenti manifatturieri attuati in questi ultimi anni anche da aziende italiane. Che ora si trovano a dover scegliere se abbandonare il Messico, andare negli States o scegliere un altro paese per il friendshoring (mossa sconsigliata). Tuttavia i forti legami commerciali implicano che i rischi per la crescita economica per il Canada sono probabilmente maggiori rispetto a quelli della Cina.

La reazione del mercato è stata contenuta, tranne che per il Peso messicano. Il dollaro statunitense si è rafforzato dello 0,47% rispetto al dollaro canadese, con il cambio USDCAD a 1,4052, mentre è aumentato dell’1,71% rispetto al peso messicano, con USDMXN a 20,62. Il renminbi, gestito in modo semi-flessibile, ha invece perso un marginale 0,17%, con il cambio USDCNY a 7,2520. Dato il rischio al ribasso per ciascuna economia derivante da possibili cambiamenti nella politica commerciale statunitense, questi movimenti potrebbero essere un segnale di ciò che accadrà nelle prossime settimane. Secondo alcune società di ricerca, il dollaro statunitense potrebbe rafforzarsi del 6% contro il dollaro canadese entro la fine del 2025, e di un ulteriore 10% circa contro il peso e il renminbi, portando lo USDCAD a 1,50, lo USDMXN a 22,5 e lo USDCNY a 8,0.