Nel giorno in cui il Riesame conferma i domiciliari per due ufficiali della polizia penitenziaria coinvolti nei pestaggi del 6 aprile 2020 sui detenuti a Santa Maria Capua Vetere, è un’altra notizia a scuotere il carcere in provincia di Caserta. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha avviato la procedura di revoca dell’incarico alla direttrice Elisabetta Palmieri. Il paradosso è che non c’è alcun legame tra le violenze sui reclusi e il siluramento di Palmieri che, il 6 aprile 2020, non era in servizio e, di conseguenza, ora non risulta coinvolta nell’inchiesta avviata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. All’ormai ex numero uno della casa circondariale Francesco Uccella si contesta di aver consentito al compagno Armando Schiavo, agente della penitenziaria in pensione, di presenziare alla visita ispettiva condotta venerdì scorso dalla senatrice Cinzia Leone e di accompagnare quest’ultima negli incontri con le detenute nel reparto Senna.

Fonti del Dap riferiscono che Schiavo fosse autorizzato per finalità rieducative a frequentare esclusivamente il laboratorio di pasticceria all’interno del carcere sammaritano, attivo solo di martedì. Di qui la decisione di sollevare dall’incarico Palmieri, come la senatrice Leone aveva chiesto nelle ore immediatamente successive alla sua visita nella casa circondariale sammaritana: «Quando ho chiesto chi fosse l’uomo che era indicato come mio autista – ha raccontato la componente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio – è calato un silenzio imbarazzante. Poi mi è stato detto che Schiavo è il compagno della direttrice. Questo episodio merita un’attenta riflessione: è imbarazzante l’opacità che serpeggia in quel carcere a seguito dei fatti accaduti».

Ieri, inoltre, il Tribunale della libertà di Napoli si è pronunciato su Gaetano Manganelli e Pasquale Colucci, considerati tra gli organizzatori della perquisizione straordinaria che il 6 aprile 2020 seguì la rivolta dei detenuti del reparto Nilo e sfociò ben presto nella «orribile mattanza» di cui parla il gip Sergio Enea nell’ordinanza cautelare recentemente notificata a 52 indagati. Tra questi figurano anche Manganelli, 45 anni, all’epoca dei fatti comandante degli agenti in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, e Colucci, 53 anni, numero uno della penitenziaria a Secondigliano e del gruppo di supporto agli interventi che il 6 aprile 2020 fu incaricato di perquisire i detenuti. Prima davanti al gip, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, e poi davanti al Riesame, Manganelli ha tentato di giustificarsi sostenendo di non essere il più alto in grado all’epoca dei fatti e scaricando le responsabilità su Colucci.

Quest’ultimo ha fatto altrettanto. Il Riesame, però, non ha creduto alla versione offerta da Manganelli né a quella di Colucci, col risultato che ora risultano confermate le misure cautelari emesse il 28 giugno scorso dal gip Enea nei confronti di tutti i funzionari della penitenziaria e dei sottufficiali con mansioni direttive in servizio a Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020.

L’inchiesta avviata dalla Procura sammaritana sulla base delle denunce delle associazioni e del garante regionale dei detenuti, dunque, sembra reggere al primissimo vaglio. Toccherà ai giudici, comunque, accertare le eventuali responsabilità di agenti e funzionari che, fino a quel momento, non possono essere considerati colpevoli.

Certo è che la recente visita della guardasigilli Marta Cartabia a Napoli e a Santa Maria Capua Vetere non ha archiviato quello che può essere definito a buon diritto il “caso Campania”. Nella regione, infatti, l’amministrazione della giustizia è ormai un evidente punto critico. Lo confermano i dati sul giudizio d’appello, che da queste parti durano fino a cinque anni, e quelli sugli errori giudiziari, col distretto partenopeo in cima alla classifica delle persone ingiustamente arrestate, prima ancora che i fatti di Santa Maria Capua Vetere. A tutto ciò si aggiungono vicende drammatiche come quella del giornalista Enzo Tortora, arrestato e processato per errore negli anni Ottanta, e dell’ex governatore Antonio Bassolino, capace di inanellare 19 assoluzioni al termine di altrettanti giudizi. Senza dimenticare l’opacità delle nomine al vertice di alcuni uffici giudiziari. No, la visita di Cartabia non basta: per invertire la rotta servono le riforme. Quelle vere.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.