La cosiddetta trattativa Stato Mafia non ha nulla a che fare con la strage di Via D’Amelio. Anzi, non ha nulla a che fare con tutte le stragi mafiose, a partire da quella di Capaci fino alle bombe “continentali” del 1993. Non solo, respingendo la tesi difensiva dei boss, si apprende che «gli elementi acquisiti nel presente procedimento consentono di affermare che l’uccisione del giudice Paolo Borsellino, inserita nell’ambito di una più articolata “strategia stragista” unitaria, sia stata determinata da Cosa Nostra per finalità di vendetta e di cautela preventiva».
Parliamo delle motivazioni, appena depositate, della sentenza d’appello del Borsellino Quater. La corte d’assise d’appello di Caltanissetta scarta la tesi sulla trattativa: non è di sua competenza, c’è una sola sentenza e pure non definitiva, ma soprattutto non c’entra nulla con la casuale delle stragi.

E’ proprio la Corte che, confermando le condanne di primo grado nei confronti dei boss Vittorio Tutino e Salvo Madonia (oltre i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci), si sofferma sulle cause che hanno determinato la strage, in cui persero la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Quali? L’esito del maxiprocesso e il suo interessamento al dossier mafia appalti. Queste le conclusioni che l’Assise d’Appello di Caltanissetta riversa nella sentenza, in particolare traendo le mosse dalle parole del pentito Giuffrè, sui «sondaggi» con «personaggi importanti» effettuati da Cosa Nostra prima di decidere l’eliminazione dei magistrati Falcone e Borsellino, ma anche ricordando i sospetti che lo stesso Paolo Borsellino il giorno prima dell’attentato aveva confidato alla moglie, quando le disse «che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo …ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò accadesse». Ed è proprio sulla base di tali evidenziate “anomalie”, si legge sempre nelle motivazioni, che «i Giudici di primo grado avevano disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministro per le determinazioni di competenza su eventuali condotte delittuose emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale».

Il punto non è di poco conto. Soprattutto nel momento in cui si organizzano convegni o si fanno “inchieste” televisive, invitando i soliti magistrati che puntualmente omettono i problemi che Borsellino ebbe all’interno della procura. Purtroppo accade sempre più spesso che quando nelle interviste si riporta questa oramai celebre frase che Borsellino confidò alla moglie Agnese, se ne dimentichi tuttavia la parte finale con il riferimento che il giudice fece ai suoi colleghi, i magistrati. La memoria non ha fatto gli stessi brutti scherzi alla Corte, che invece non ha dimenticato di darne rilievo, richiamandola con riferimento alle dichiarazioni testimoniali che rese la moglie di Borsellino. Non solo. Sempre nella sentenza viene citato il fatto che l’arrivo di Borsellino nel nuovo ufficio della Procura di Palermo «era stato percepito con preoccupazione da Cosa Nostra, al punto che Pino Lipari (vicino ai vertici dell’organizzazione maliosa) aveva commentato il fatto dicendo che avrebbe creato delle difficoltà a “quel santo cristiano di Giammanco”».

Ricordiamo che per i corleonesi, Lipari è stato un “consulente” che si occupava di pilotare gli appalti pubblici in modo da affidarli a imprese vicine ai boss. Il suo nome apparve anche nel famoso dossier mafia appalti scaturito dall’indagine degli ex ros Mario Mori e Giuseppe De Donno, condotta sotto la supervisione di Giovanni Falcone. Riprendendo le motivazioni della pronuncia di primo grado, la Corte ricorda anche che «non erano state poche le difficoltà iniziali incontrate dal dott. Borsellino, al quale erano state delegate solo le indagini per le province di Trapani e Agrigento, e non per quella di Palermo». A tal proposito, richiamando la sentenza di primo grado, la Corte le attribuisce il merito di aver ricostruito, anche sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla moglie del magistrato e da alcuni suoi stretti collaboratori e colleghi, «le ragioni del contrasto fra il dottore Borsellino e l’allora procuratore capo della Procura di Palermo, dott. Giammanco, ricordando come tale delega, più volte sollecitata dal dottore Borsellino, gli fosse stata conferita solo la mattina del suo ultimo giorno di vita».

Ma su quale indagine Paolo Borsellino aveva mostrato particolare attenzione dopo la morte del collega ed amico Giovanni Falcone? Erano – si legge nelle motivazioni – «le inchieste riguardanti il coinvolgimento di “Cosa Nostra” nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse strategico che tale settore rivestiva per l’organizzazione criminale». Tutto qui? No, perché la Corte evoca anche quel famoso incontro tra Borsellino e la dottoressa Lilliana Ferraro, quando insieme avevano anche parlato del rapporto “mafia-appalti” ricevuto, per mano dei carabinieri del Ros, dal Procuratore Giammanco e da quest’ultimo «irritualmente inviato al Ministero della Giustizia, tanto che il dott. Falcone (nel frattempo come noto in servizio al Ministero) ne aveva disposto l’immediata restituzione». Un fatto singolare che fece infuriare Falcone. Sul tema non si manca neanche di precisare che «nel corso del dibattimento erano stati sentiti, come testi, anche i giudici Camassa e Russo i quali avevano riferito di un incontro avuto con il giudice Borsellino, intorno alla metà del mese di giugno, nel corso del quale quest’ultimo, con tono molto amareggiato e con le lacrime agli occhi, aveva detto loro che “qualcuno lo aveva tradito”».

Una sentenza che finalmente riprende in mano ciò che Falcone e Borsellino hanno sempre sostenuto. Ovvero che la caratteristica della mafia è la sua autonomia da qualsiasi potere, agisce da sola e, soprattutto, non ha bisogno di alcun aiuto esterno per compiere gli attentati. E cosi la Corte tiene anche a sottolineare ciò che aveva intuito Falcone con la nascita del pool antimafia, ovvero che «stante il carattere unitario e fortemente centralizzato dell’organizzazione criminale Cosa Nostra, ogni delitto riconducibile a detta organizzazione criminale dovesse essere considerato come l’anello di una lunga catena, e non già come un episodio a sé stante».

Ecco perché secondo la Corte non regge la linea di difesa degli imputati, portati a giudizio per la strage di Via d’Amelio, quando chiama in causa la tesi della trattativa per dire che quel presunto patto avrebbe aperto «nuovi scenari», in relazione alla «crisi dei rapporti di Cosa Nostra con i referenti politici tradizionali» ma anche al possibile collegamento fra «la stagione degli atti di violenza» e l’occasione di «incidere sul quadro politico italiano» con riferimento a coloro che «si accingevano a completare la guida del paese nella tornata di elezioni politiche del 1992». La Corte nella sua sentenza non lascia spazio alcuno a queste argomentazioni difensive, ribadendo che «la strage di Via D’Amelio, inserita nell’ambito di una più articolata “strategia stragista” unitaria, sia stata determinata da Cosa Nostra per finalità di vendetta e di cautela preventiva».

Indubbiamente, però, c’è stata una accelerazione dell’uccisione di Borsellino. Da cosa è dipeso ce lo dicono le motivazioni quando riportano alcuni passi della sentenza della corte d’Assise di Catania: «poteva avere influito l’intervento di potentati economici disturbati nella spartizione degli appalti, la presenza di forze politiche interessate alla destabilizzazione, la necessità di umiliare lo Stato in modo definitivo e plateale». Poi la stessa Corte di Assise di Appello di Catania aveva comunque rilevato che tali ultimi motivi non hanno «creato una frattura rispetto a quelli che determinarono la decisione della strategia stragista, ma si aggiungono ad essi». Si tratta di una sentenza che potrebbe, di fatto, suggerire ulteriori piste da esplorare. A partire dalla causa della strage. Non la presunta trattativa, ma la questione “mafia appalti” che ha anche come sfondo i problemi all’interno dell’allora procura di Palermo. Il tutto è ben cristallizzato in questa sentenza. Tutto ciò potrebbe significare un ulteriore sviluppo delle indagini e la possibilità di arrivare a un Borsellino quinquies?