Lo scontro sull'immigrazione
Perché i permessi speciali non vanno abrogati, cosa dice la Costituzione e non il “buonsenso”
L’abrogazione totale della protezione speciale pone un serio problema di costituzionalità. È verissimo – come dice la Presidente del Consiglio – che tale forma di protezione – presente in altri paesi europei come la Germania e la Spagna – non è espressamente prevista da fonti internazionali ed europee. Al netto di un certo uso prêt-à-porter dell’Unione europea, chiamata in causa solo quando fa comodo, secondo il Governo tale protezione potrebbe essere abrogata senza violare l’obbligo di legiferare rispettando i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117.1 Cost.). Ma è veramente così?
L’art. 10 della nostra Costituzione (ma anche l’art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’ONU il 10 dicembre 1948) sancisce che “lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. In mancanza di una legge organica attuativa, la Cassazione (sez. un. civili 4674/1997) ha ritenuto tale articolo suscettibile di applicazione diretta in quanto disposizione immediatamente precettiva. Tale diritto di asilo, sempre secondo la Cassazione (da ultimo I civ., 19176/2020), trova attuazione nel nostro ordinamento grazie a tre forme di protezione.
I primi due sono previsti da fonti internazionali e dell’UE e rientrano dunque nella c.d. protezione internazionale: a) il diritto di rifugio politico, sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che protegge lo straniero in caso di fondato timore di persecuzioni personali; b) la protezione sussidiaria (direttiva 2011/95/UE) a favore dello straniero che, se espulso verso il Paese d’origine, correrebbe il fondato rischio di subire un grave danno (condanna a morte, tortura, pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti) o una grave minaccia alla sua vita a causa di un conflitto armato (come in Siria o in Libia).
La terza forma di protezione è giustappunto oggi costituita dai permessi di soggiorno per protezione speciale che vengono rilasciati agli stranieri che non rientrano nei primi due casi. Essa fu introdotta nel 1998 dal Testo Unico sull’Immigrazione approvato (c.d. Turco-Napolitano) sotto forma di permessi di soggiorno rilasciati per seri motivi, specie di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Essi rimasero in vigore anche dopo la Bossi-Fini del 2002 finché, per limitarne il ricorso, il c.d. decreto sicurezza approvato dal governo Conte I (n. 113/2018) decise di sostituirli con permessi di soggiorno speciali temporanei rilasciati agli stranieri solo in casi specifici dovuti più a ragioni sociali che umanitarie: vittime di violenza o grave sfruttamento, specie in ambiente domestico o lavorativo; condizioni di salute di particolare gravità; situazioni di contingente ed eccezionale calamità; compimento di atti di particolare valore civile. Gli effetti di tale stretta non tardarono a prodursi: i permessi speciali costituirono l’1% dei casi nel 2019 e il 2% del 2020).
Per recuperare l’originaria ispirazione umanitaria, il governo Conte II approvò un nuovo decreto legge (130/2020) in base a cui allo straniero cui era stata respinta la domanda di protezione internazionale potevano essere rilasciati permessi di soggiorno biennali per protezione speciale in caso di fondato rischio di sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o in forza del rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali. Oggi i permessi speciali costituiscono il 21% delle domande di protezione.
Ora l’art. 7 del decreto legge approvato a seguito dei tragici fatti di Cutro (n. 20/2023) ed i relativi emendamenti e subemendamenti presentati (dalla stessa maggioranza di governo) osano quel che nessuno aveva mai prima osato e cioè la cancellazione totale di quel che abbiamo detto essere il terzo necessario tassello che dà attuazione al diritto d’asilo sancito dall’art. 10 Cost. La protezione prima umanitaria ed oggi speciale, infatti, consente d’includere tutti i casi residui non rientranti nel rifugio politico e nella protezione sussidiaria.
Casi che non possono essere integralmente tipizzabili, in coerenza con l’ampia configurazione del diritto d’asilo previsto in Costituzione, riferito ad una condizione – l’impedimento nell’esercizio delle libertà democratiche – che non può essere definita in modo esaustivo (Cass., I civ. 4455/2018) e che vanno piuttosto considerati un “catalogo aperto” da determinare “alla luce dell’evoluzione del quadro complessivo dei diritti umani desumibili dal sistema costituzionale interno, da quello convenzionale e dagli obblighi internazionali ai quali il nostro ordinamento è vincolato” (Cass., I civ. 4890/2019).
Per questo motivo, il Presidente della Repubblica, nel promulgare il c.d. decreto sicurezza, tenne a precisare che restavano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”. Ed è per questo motivo che la Corte costituzionale, riprendendo tale monito, ha invitato ad interpretare ed applicare la protezione speciale, in sede amministrativa e giudiziale, rispettando in modo rigoroso gli obblighi costituzionali o internazionali in materia, nonostante l’esplicito riferimento ad essi fosse stato abrogato, allo scopo di contenere il paventato effetto restrittivo dei diritti dello straniero, pena un suo eventuale intervento censorio (sentenza n. 194/2019).
Ed è in questa prospettiva che, ai fini del riconoscimento della protezione speciale, va comparato il livello di tutela dei diritti del richiedente in caso di rimpatrio ed il grado d’integrazione che egli dimostri d’aver raggiunto perché, ad esempio, lavora, parla italiano, ha una casa, manda i figli all’asilo o a scuola, partecipa ad associazioni presenti nel territorio (Cass., sez. un. civ. 24413/2021).
Da tutto ciò si vuole ora tornare indietro: i permessi di soggiorno per protezione speciale verrebbero abrogati, senza nemmeno più la possibilità di convertirli in permessi per motivi di lavoro (sub emendamento Gasparri); gli stranieri affetti da patologie di particolare gravità potrebbero essere espulsi se adeguatamente curabili nel paese di origine (ancora Gasparri); le calamità per avere un permesso di soggiorno non devono essere più gravi ma eccezionali (sempre Gasparri); non si terrebbe più conto dei vincoli familiari dell’interessato e dell’effettivo suo inserimento sociale; si consentirebbe l’espulsione ed il respingimento dello straniero anche in presenza del fondato rischio che ciò comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, sancito dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Una fonte internazionale di cui, con l’art. 10 della nostra Costituzione, la protezione speciale costituisce attuazione e la cui abrogazione quindi costituirebbe loro grave violazione. Sempre in nome del “buonsenso”, of course (ops).
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