Accompagnare. Servire. Difendere. Includere. È il “vocabolario della solidarietà” che vive nella pratica quarantennale del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, che ieri al teatro Argentina di Roma, alla presenza del sindaco Gualtieri e del presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Zuppi, ha presentato il Rapporto annuale 2023.

Certo, i numeri non sono tutto. Possono apparire freddi, privi di pathos. Ma sono fondamentali per dare l’esatta dimensione di un fenomeno, quello delle migrazioni, piegato troppo spesso a narrazioni strumentali per tornaconti politici e mediatici. “Nel 2022 sono arrivati via mare in Italia 105.129 migranti, di cui 13.386 minori non accompagnati. Il sistema di accoglienza nazionale ha registrato alla fine del 2022 un totale di presenze pari a 107.677 persone”, rimarca il Rapporto che denuncia una disparità di trattamento rispetto ai rifugiati ucraini. Le persone arrivate in Italia dall’Ucraina, si legge, sono “170mila nel corso dell’anno” e “in non poche occasioni nell’esperienza del Centro Astalli, è sembrato come se ci fossero due percorsi paralleli: uno per gli ucraini e uno per tutti gli altri” che pure vengono da “guerre”.

“Nel 2022 – si legge nel Rapporto, in un paragrafo significativamente intitolato Accogliere i rifugiati con dignità è possibile. La lezione che l’Italia non vuole imparare – il numero di persone in fuga ha superato la soglia dei 100 milioni nel mondo. Solo una piccola percentuale di questi cerca di arrivare in Europa. Le due vie principali di accesso sono quella del Mediterraneo e della rotta balcanica, percorse da chi è costretto, in mancanza di canali d’ingresso legali e sicuri, ad affidarsi ai trafficanti e ad affrontare viaggi lunghi e pericolosi. Purtroppo l’esperienza della crisi ucraina non è bastata a fare una riflessione profonda su accoglienza e integrazione dei rifugiati. Ucraini e non ucraini si trovano nella medesima condizione. Afghani, siriani, somali, nigeriani sono tra le principali nazionalità di rifugiati accompagnati nelle varie sedi territoriali del Centro Astalli: anch’essi in fuga da guerra e persecuzioni”.

“La protezione temporanea concessa ai cittadini ucraini – sottolinea quindi il Rapporto del Servizio ai Rifugiati dei Gesuiti la possibilità di accedere da subito al mondo del lavoro, l’opportunità di ricevere direttamente dei contributi economici e un sistema di accoglienza che ha risposto tempestivamente ai bisogni delle persone, sono state misure importanti che avrebbero potuto essere capitalizzate. Invece i primi passi del nuovo Governo, dopo l’ennesimo braccio di ferro compiuto mentre i migranti erano sulle imbarcazioni in attesa di un porto sicuro, si sono concentrati su una rinnovata lotta alle Ong che si occupano del salvataggio in mare. E neanche le vittime del naufragio di Cutro hanno sortito alcuna reazione politica di umanità, nonostante la società civile abbia chiesto con forza un cambiamento”.

Oltre l’emergenzialismo e un approccio “securitario” alle migrazioni. Ed è estremamente indicativo che il primo riferimento del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, intervenuto alla presentazione del rapporto Astalli sui rifugiati, è proprio al recente decreto del governo Meloni, ricordando il numero di sbarchi ben maggiore negli anni passati. “Dobbiamo fare sistema e dare risposte che guardino avanti e tengano presente il mondo”, rimarca Zuppi che nel suo intervento ha toccato anche il tema delle restrizioni alla protezione speciale inserite dall’esecutivo: “Allora pensiamo a fare bene quella normale”. Il suo auspicio è “garantire diritti e combattere l’illegalità con la legalità”: “La porta deve essere aperta e bisogna avere criteri seri per garantire il diritto”.

“Non nascondo amarezza e delusione di fronte a questa ennesima misura” dello stato di emergenza sull’immigrazione deciso dal governo: “La risposta ai flussi sono politiche umane e non una politica senza visione e senza futuro”, incalza padre Camillo Ripamonti, infaticabile presidente del Centro Astalli, in apertura del suo intervento. “I numeri dei flussi non sono nuovi – ha ricordato padre Ripamonti -. Anni fa la risposta è stata gli accordi con la Libia. E da quanto tempo sappiamo che la capienza dell’hotspot di Lampedusa è di 400 posti?”. Padre Ripamonti ha sollecitato l’urgenza di “sistematizzare con continuità vie legali d’ingresso e questo è un compito che gli Stati non possono delegare alla sola società civile”.

Inoltre ha espresso preoccupazione per “l’intenzione di restringere di nuovo le maglie di alcune tipologie di permessi o pensare di abrogarne altri, perché questo creerebbe altra marginalità”. C’è vita, emozioni, ricordi, dolore e gioia condivisi nel rapporto quotidiano con una umanità sofferente. Ed è stato davvero un momento toccante, perché sincero, vissuto, quando al termine del suo intervento, con la voce incrinata dalla commozione, padre Ripamonti ha chiesto “perdono” ai rifugiati presenti: “Vi chiedo perdono. Per quello che non abbiamo saputo, potuto, voluto, avuto il coraggio di fare”. Una lezione di vita. Che trova riscontro nelle parole e nel sorriso di Hamed e Barry, due rifugiati che hanno preso la parola nel corso dell’incontro. Raccontandole loro storie di sofferenza e di riscatto. Di dignità e di speranza.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.