Si scrivono decreto Siccità e decreto Pubblica amministrazione. Si leggono, il primo “moneta di scambio con Matteo Salvini su immigrazione e nomine”; il secondo “diamo una spinta” al Pnrr. Il Consiglio dei ministri pre-pasquale ha avuto, e non poteva essere diversamente, un convitato di pietra rispetto al quale tutte le ipotetiche rivalse di una parte sull’altra della maggioranza sono state congelate. Una riunione lunga due ore, nessuna conferenza stampa finale, e dove tutta la prima parte è stata dedicata allo scambio di informazioni sulle condizioni di salute del leader di Forza Italia, sul bollettino del San Raffaele e quella parola “leucemia” che molti avevano intuito ma trovarla scritta è stato come squarciare un velo antico e per certi versi rassicurante. Ieri la premier Giorgia Meloni ha chiamato il Cavaliere esprimendogli il suo incoraggiamento e facendogli gli auguri di pronta guarigione.

Silvio Berlusconi è un leader anziano con una patologia cronica che può essere tenuta sotto controllo ma è chiaro che ieri quel bollettino ha in qualche modo chiuso la sua parabola politica. Con tutto quello che ne consegue in termini di lascito ed eredità politica. Messi da parte – non è il momento – ragionamenti e analisi sull’evoluzione del centrodestra e sul destra-centro, il governo ha approvato una serie di provvedimenti urgenti. Che vanno letti anche con gli occhiali della moneta di scambio interna. Matteo Salvini, ad esempio, sarà indicato come il commissario dell’emergenza siccità. Il decreto Siccità conta 16 articoli per istituire una cabina di regia e un commissario nazionale sulla crisi idrica “prorogabile fino al 2024”, multe fino a 50 mila euro per l’estrazione illecita di acqua e la realizzazione di un piano di comunicazione ad hoc, con l’istituzione degli Osservatori distrettuali permanenti sulla scarsità idrica.

Nel provvedimento ci sono anche le misure per il superamento del dissenso e per i poteri sostitutivi, per velocizzare cioè le procedure per intervenire sul corso dei fiumi che spesso s’incartano nei veti incrociati di due, tre anche quattro enti territoriali diversi. Ci sono le disposizioni urgenti per la realizzazione, il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche e le misure per garantire l’efficiente utilizzo dei volumi degli invasi. E ancora: vasche di raccolta delle acque piovane (fino a 50 mc per ogni ettaro di terreno coltivato), interventi di attuazione degli interventi di manutenzione degli invasi e disposizioni urgenti in materia di fanghi da depurazione.

Un pacchetto di cose da fare di grande impatto e visibilità – in positivo a meno che proprio non si fallisca – che verrebbe consegnato a Salvini in cambio di un passo indietro sull’immigrazione, tavolo a cui Meloni ha fatto sedere il ministro della Difesa, e suo alter ego, Guido Crosetto. In realtà nel decreto si parla di cabina di regia guidata dalla premier Meloni che poi delegherà al ministro delle Infrastrutture e al commissario. Ma il nome in casella è quello di Matteo Salvini che accetta di sfilarsi da un tema difficile e divisivo come l’immigrazione per andare a mettere la faccia su uno assai più inclusivo come il piano per risolvere i rischi siccitosi dell’agricoltura nazionale. A Salvini però non basta. La sua richiesta sulla partita nomine è lunga e ancora bloccata. Lo scambio quindi è ancora imperfetto. Dal suo punto di vista.

Approvato anche il decreto sulla Pubblica amministrazione, su cui si è speso molto il ministro Paolo Zangrillo, che va letto questa volta con gli occhiali del Pnrr. Il testo punta a ridare fiato alle amministrazioni rendendo stabili le assunzioni a tempo. Chi ha già lavorato per almeno 36 mesi negli enti locali nell’arco degli ultimi 8 anni sarà assunto in via definitiva. Il testo ha però perso per strada le norme più controverse: le assunzioni saranno molte meno del previsto (circa un migliaio contro le tremila richieste); la revisione dei tetti di spesa per gli enti locali. Pur depotenziato – le liti in maggioranza misurano tutta la distanza tra le varie anime – il decreto Pa cerca di essere un’offerta di aiuto al Pnrr nel suo punto veramente debole che non sono i progetti ma i tecnici. Poiché questo nodo è noto da tempo, invece di fare il decreto rave a ottobre, la maggioranza poteva concentrarsi subito su questo.

Il ministro Fitto, cui Meloni ha affidato tutta la partita del Pnrr (evidente lo scontento di Salvini), confida molto però non nell’aiuto del decreto Pa approvato ieri in Consiglio ma nel decreto Pnrr n.3 che martedì dopo Pasqua sarà in aula al Senato per il primo via libera. Entro il 25 aprile dovrà essere legge, pena la decadenza. Qui ci sono le norme per semplificare le procedure di affidamento dei lavori, per assumere in modo stabile chi già lavora al Pnrr da due anni, per richiamare in servizio, pagandoli, i pensionati della cui esperienza però c’è bisogno come del pane.
Nuova discussione, sempre ieri, sul disegno di legge sulla concorrenza che ha portato però all’ennesima fumata nera. A proposito di quanto sia difficile per la maggioranza e per la presidente Meloni sottrarsi alle richieste delle varie lobby, siano esse balneari, tassisti o proprietari di case.

A proposito di Bruxelles, certi sospetti e irritazioni sul Pnrr derivano anche dal fatto che al di là dei cantieri e dei progetti, il governo è in ritardo proprio sulle riforme. Qualche giorno di vacanza con la testa a martedì con un nuovo Consiglio dei ministri che avrà sul tavolo il Documento di economia e finanza. È il primo tassello della costruzione della prossima legge di bilancio. Il ministro Giorgetti conserva l’approccio “prudente e serio” ma dovrebbe portare una previsione di crescita per il 2023 pari a +0,9 per cento. Tre decimali in più del previsto. Una parentesi rosa per il governo Meloni. Che a maggior ragione non ha scuse rispetto al Pnrr. Il contesto è positivo, l’economia tira nonostante tutto. Il Piano va realizzato. Senza scuse.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.