La “buona notizia” per il governo è che Malta ha assunto il comando delle operazioni di soccorso del barcone in mare in mezzo alle onde con a bordo almeno 500 persone e che sul posto sta intervenendo la nave Geo Barentes della ong Medici senza frontiere. La seconda “buona” notizia è che, una volta sbarcati, più paesi europei dovrebbero farsi carico della redistribuzione. “Intanto – si fa notare in ambienti tecnici della maggioranza – questa volta non tocca a noi in prima battuta gestire questo sbarco”. La terza “buona” notizia è che al sesto mese di governo, anche Giorgia Meloni, e con lei tutti coloro che la facevano così facile tra “muro navale”, “non devono partire” e “men che mai arrivare”, si mette intorno ad un tavolo e avvia la fase 2 del dossier immigrazione.

Basta propaganda e avanti nell’unico modo possibile: diplomazia, condivisione, pragmatismo che vuol dire mettere insieme pugno di ferro con gli scafisti e chi delinque ma anche accoglienza vera con profughi in fuga da guerre, persecuzioni, carestie, siccità e crisi economiche. Quello che fonti di governo vorrebbero far passare come il nuovo Piano contro gli sbarchi altro non è che la presa d’atto che dopo aver fatto propaganda contro le ong con un decreto e un paio di regolamenti ad hoc, essere passati dalla tragedia e dal dolore di Cutro e aver capito che la centralità e l’urgenza del problema per Bruxelles sono molto relativi, la gestione dei flussi migratori è una costruzione lenta, faticosa, mai scontata e, soprattutto non ideologica.

Con queste promesse, maturate definitivamente nel pranzo di venerdì al Quirinale, Giorgia Meloni ieri sera ha messo intorno al tavolo mezzo governo: il sottosegretario Mantovano (ma non Fazzolari), i ministri titolari del dossier – Interno, Infrastrutture ed Economia – che sono guarda caso tutti della Lega, il vicepremier e titolare degli Esteri Antonio Tajani il cui ruolo su questo tema è cresciuto molto nei mesi e anche il ministro della Difesa Guido Crosetto. Quest’ultimo con due obiettivi: avere un po’ di Fratelli d’Italia a quel tavolo; ridimensionare la coppia Salvini-Piantedosi che in questi mesi ha combinato più di un guaio. In pratica, quello che nel decreto Cutro era uscito dalla porta all’ultimo tuffo per evitare tensioni in maggioranza – il coordinamento dei soccorsi alla Marina Militare e quindi alla Difesa – sta rientrando dalla finestra. “Causa forza maggiore e senza fare letture strane per cui si leva a uno per dare all’altro” si spiega da fonti di governo, “è evidente che in questa fase, con il rischio di centinaia di migliaia di partenze la Marina militare ha le competenze operative e di intelligence per operare di più e meglio di Guardia costiera e Guardia di finanza”.

Il confronto ieri si è sviluppato su più fronti: diplomatico e politica estera – il caso Tunisia e Libia, i Balcani e nuovi accordi di rimpatrio con paesi africani – e interno: più espulsioni grazie ai Centri per il rimpatrio da aprire in ogni regione, più accoglienza e potenziamento dei decreti flussi. E poi la leva Europa e quella delle Nazioni Unite. Al primo punto del tavolo ieri c’è stato il ruolo della diplomazia. È stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani ad illustrare il quadro di situazione nei paesi che affacciano sul Mediterraneo e che confinano a est con l’Europa. Il rischio partenze di massa è “reale” al di là dei numeri biblici che vengano di tanto in tanto diffusi, 400- 500-700 mila. Tanto dalla Tunisia quanto dalla Libia. Importante un articolo pubblicato ieri dal Financial Times che racconta come migliaia di africani subsahariani che vivono da mesi e anni in Tunisia, siano costretti a partire verso l’Europa per sfuggire a “condizioni ostili”. La crisi economica e politica sta facendo implodere il paese e razzismo e violenza spingono intere famiglie a partire.

Non è colpa del Fondo monetario che non vuole concedere il prestito di quasi due miliardi al presidente Saied. A certa destra piace ora raccontare questa storiella per trovare sempre un nemico negli organismi internazionali. Il tema vero è che dare soldi a Saied (giallo sulle sue condizioni di salute con il Tribunale che minaccia procedimenti penali contro chiunque dia false informazioni gettando così discredito sul paese) sarebbe come buttarli dalla finestra. E su questo si stanno consumando da settimane gli sforzi diplomatici delle varie cancellerie, in primo piano Italia ed Europa. Stabilizzare la Tunisia è la prima cosa da fare. “Se si apre quel rubinetto, il problema diventa di difficile gestione”. Ieri sono intervenute le Nazioni Unite per dire “basta all’odio razzista contro i subsahariani in Tunisia”. Lo sforzo diplomatico è molteplice per indurre Saied a più miti comportamenti. È un passaggio, questo, sostanziale.

Analogo discorso è stato fatto per la Libia. Le partenze sono aumentate soprattutto da Tobruk e Bengasi, la Cirenaica del generale Haftar. Tajani ha illustrato l’appoggio che l’Italia sta dando all’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily per “arrivare il primo possibile a libere elezioni che siano stabilità al paese”. Con la stabilità anche gli accordi per impedire le partenze dovrebbero funzionare meglio. Analoghi sforzi diplomatici sono in corso con Croazia e Slovenia: i flussi migratori via terra hanno numeri meno importanti ma sono in continuo aumento. Tajani ha fatto numerosi viaggi nei Balcani in queste settimane, ministri sono stati a Roma, la premier Meloni a sua volta lunedì a Verona ha incontrato il presidente serbo Vucic e il primo ministro albanese Edi Rama. Da est a sud, l’Italia sta sollecitando e coinvolgendo diplomaticamente i “confini europei”. Perché, come è stato ripetuto continuamente al tavolo, “l’immigrazione è un dossier europeo e non solo italiano”. La parte diplomatica ha toccato anche la necessità di stringere maggiori e più stabili rapporti con i paesi di partenza per limitare le partenze e facilitare i rimpatri. A fine marzo sono operativi i rapporti con Costa d’Avorio, Guinea, Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Egitto, Marocco, Camerun, Siria, Mali e Burkina Faso.

Quello diplomatico è un lavoro lungo, poco appariscente ma necessario. Più evidenti le misure da prendere in Italia e per cui il governo sta studiando alcuni emendamenti per rafforzare il decreto Cutro incardinato al Senato. Al tavolo non si sarebbe parlato di ong ma di come garantire una migliore accoglienza nell’immediato – gli sbarchi sono triplicati, il sistema non è più tarato sui grandi numeri e la gente si accampa dove può aumentando degrado e insicurezza – e di come potenziare i rimpatri. “Un Centro di rimpatrio in ogni regione dove trattenere chi delinque e non ha titolo a restare in Italia mi sembra la via da seguire” ha detto il ministro Salvini. Al momento i Cpr sono dieci in tutta Italia. Ne servirebbero altrettanti, almeno. Uno in ogni regione come già prevede il decreto Cutro. Ma i governatori non gradiscono avere queste strutture in casa perché in passato sono state calamite di guai e tensioni sociali.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.