No, non è migliore della classe dirigente di cui dispone. E non si dica mai più che ha coraggio. È così pavida Giorgia Meloni, così ansiosa all’idea di rischiare fischi in diretta tv, da fuggire dalla fila di bare bianche del naufragio di Cutro. Pur sapendo che era una stiva piena di bambini quella schiantatasi a quaranta metri dalla riva calabrese il 26 febbraio. Pur sapendo che corpicini ormai irriconoscibili, forse venti, forse trenta, resteranno in fondo al mare. “Io sono Giorgia, io sono madre, io sono cristiana”: per favore, basta. Chissà se dopo la figura fatta dalla presidente del Consiglio in Calabria perderà quota la frase fatta su una Meloni più capace, più seria, più credibile di quelli che la circondano. No, non è migliore dei suoi ministri la premier.

Assorbe nel decreto sull’immigrazione le norme su cui la Lega ha puntato i piedi ricostruendo così il quadro legislativo dei decreti Conte-Salvini. Si nasconde dietro le menzogne come Matteo Piantedosi. Scappa e sbuffa come Matteo Salvini. E, come loro due, non ha la decenza di studiarsi perlomeno il dossier sul naufragio prima di aprire bocca. Anche di fronte a domandine facili facili incespica, si sbaglia, si contraddice. Eppure non era una conferenza stampa difficile quella di Cutro. Lo avrebbe potuto essere, ma non lo è stata. Ciò nonostante la presidente del Consiglio è andata nel pallone. I giornalisti ammessi a rivolgere domande erano per lo più quelli abituati ad avere rapporti con palazzo Chigi, morbidi per costume. Le hanno fatto domande aperte dalle quali si svicola con facilità, non l’hanno inchiodata sui dettagli di cronaca terribili dell’omissione di soccorso di quella notte. Giorgia Meloni, comunque, non ha saputo rispondere.

Ha detto che «la segnalazione di Frontex è arrivata quando la barca era in acque italiane». No. Era in acque internazionali. «Mi correggo allora, era quasi in acque italiane». «E navigava tranquillamente». No. Il mare si stava ingrossando, l’allerta meteo di cui Piantedosi s’è scordato di informare il Parlamento dava burrasca sullo Jonio tanto che una motovedetta e un rimorchiatore della finanza sono usciti e rientrati per le onde alte. «Ma le barche della finanza sono uscite la mattina dopo» ha insistito la presidente del Consiglio. No. Sono partite quella sera stessa e rientrate per onde alte. A due settimane dalla strage non c’è modo di sapere chi ha deciso che un caicco con la stiva sovraccarica di persone dovesse attraccare senza rischio nonostante i mezzi «rafforzati a causa del maltempo» – quel “rafforzati” l’ha detto Piantedosi a Montecitorio – fossero rientrati all’ormeggio per timore di naufragare. Se era rischioso per loro uscire come poteva non esserlo per il caicco entrare?

Può il capo del governo di un paese occidentale evitare di rispondere con precisione a questa domanda tirando fuori la frasetta «qualcuno pensa davvero che il governo o le istituzioni non hanno fatto qualcosa che avrebbero potuto fare»? L’ha già fatto questo numero, presidente. Non si abusa dei pezzi da teatro: si perde di credibilità. L’uscita “coatta” funziona una volta soltanto, non due. Scenda in qualsiasi mercato rionale e glielo spiegano. Poter contare sulla truppa cammellata dei commentatori che vanno ripetendo «ideologia, ideologia, chiedere cosa non ha funzionato quella notte è propaganda» non la salverà. Avere un portavoce di Palazzo Chigi che strilla ai giornalisti: «non è un dibattito» non le fa fare una bellissima figura. Risponda invece. E spieghi per favore, lei che va a Cutro a scoprire lapidi contro i trafficanti, perché con il trafficante di esseri umani libico Trabelsi – segnalato come tale dalle Nazioni unite – il ministro Piantedosi stringe patti per conto del governo da lei presieduto.