Un voto molto meno “lontano” di quel che la geografia potrebbe suggerire. E quindi utile per leggere il quadro politico anche nazionale. Le amministrative in Friuli Venezia Giulia – regione e comunali – erano un test per tanti: per il governatore uscente Fedriga, leghista della prima ora ma in corsa per il secondo mandato con una propria lista e un proprio simbolo; per la Lega del segretario Salvini costretto a rincorrere Fedrigache è mio”; per il centrodestra giunto al sesto mese di governo in mezzo alla tempesta perfetta del Pnrr; per il campo largo del centrosinistra – Pd-5 Stelle e Sinistra – al primo vero test dell’era Schlein e per il Terzo Polo sulla strada del partito unico.

Bene: hanno stravinto Fedriga e la sua lista, tiene il destra-centro e hanno perso tutti gli altri. A cominciare dal Terzo Polo che in corsa con un candidato qualificato come l’ex parlamentare Maran non entra in consiglio regionale (la soglia è al 4%). Altissima, ancora una volta l’astensione: i votanti si sono fermati al 45%. Ennesima domanda senza risposta per la politica. Quel 45 per cento di elettori ha però parlato molto chiaro. Massimiliano Fedriga ottiene circa il 62% dei voti e doppia il campo largo di Massimo Moretuzzo, il candidato del centrosinistra che si ferma al 30%. “Ringrazio gli elettori del Friuli Venezia Giulia per avermi confermato alla guida della Regione” ha detto il governatore appena confermato. E’ la prima volta che un candidato ottiene il bis nella regione. Un’importante manifestazione di fiducia che rappresenta una grande responsabilità. Segno che il lavoro svolto in questi cinque anni, segnati dal Covid e non solo, è stato apprezzato dalla gente. Tutto questo è un orgoglio e uno sprone per continuare a lavorare ancora di più per conseguire gli obiettivi del programma”.

Parole non solo di circostanza che certificano la consapevolezza di un ruolo che va oltre i confini della regione. Il biondino della Lega che anni fa alla Camera si sapeva giù muovere con scaltrezza e misura, è pronto per altri ruoli. Anche nazionali. Oggi non sarebbe elegante parlarne ma non è un mistero che tra leghisti e azzurri si sia guardato a Fedriga come al nuovo leader del centrodestra. Non è un caso che le congratulazioni più entusiaste ieri siano arrivate proprio da Forza Italia, Ronzulli, Bernini, Cattaneo. La Lega ha fatto un comunicato dopo le 19. Giorgia Meloni – che non era salita a Udine per la chiusura della campagna elettorale – fa le “congratulazioni” e rivendica la vittoria al “modello amministrativo e al buongoverno del centrodestra”. “Fedriga – sottolinea la premier – ha lavorato bene in questi anni insieme a tutta la coalizione e sono certa che continuerà a farlo”.

Presto per dire se sia nata una stella. Ma se nascerà, il 3 aprile sarà ricordato come la sua epifania. Al tempo stesso la neo segretaria del Pd è costretta al primo dispiacere da quando è stata eletta. Elly Schlein non ha investito poche parole sulle regionali in Friuli e le amministrative di maggio. Come se non ci fossero. Ma invece ci sono. E anche se è presto, il primo test dell’era Schlein non è andato bene. Il candidato, scelto prima della sua elezione a segretaria, ha raccolto il 30 per cento mettendo insieme il campo largo Pd, 5 Stelle e sinistra dimostrando che il loro consenso non riesce ad uscire dal recinto tradizionale e che ogni variazione tra Pd e 5 Stelle è più o meno sempre a somma zero. Il Terzo Polo con il qualificato candidato Maran non entra in consiglio regionale, ancora una volta non è la performance che si aspettavano Calenda e Renzi. La premier Meloni legge il voto del Fvg come benzina per l’azione di governo. E fa bene perché in questo momento le serve molta buona benzina. Il mese di aprile è cruciale: Pnrr, Def, immigrazione, sono tanti i dossier che hanno scadenze importanti in questo mese. A cominciare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. La premier ieri ha buttato acqua sul fuoco: “Come al solito leggo ricostruzioni fantasiose. Siamo tutti concentrati per utilizzare al meglio i soldi del Pnrr, è il nostro obiettivo. Ci sono criticità, sia sulla nostra capacità di spesa che sui progetti realmente realizzabili entro il 2026 ma le supereremo. Lavoriamo in concordia per questo anche con la Commissione”.

Si vede che il lungo pranzo al Quirinale venerdì scorso ha suggerito toni e modi più adeguati alla questione. Su cui non si può fare lo scaricabarile (sul predecessore Draghi e sulla Commissione che qualcuno a destra accusa di avere pregiudizi sul governo italiano) né propaganda. Era stato il ministro Raffaele Fitto, che ha la delega al Pnrr, mercoledì della scorsa settimana a mettere in fila pubblicamente davanti ai giudici contabili i problemi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza: la Commissione si è riservata sulla terza tranche di finanziamenti (19 miliardi del secondo semestre 2022) per dubbi su tre progetti; impossibile collaudare entro dicembre 2026 tutti i progetti indicati al Pnrr, meglio lavorare con la Commissione utilizzando il criterio delle flessibilità e utilizzando come “vasi comunicanti” quattro diversi capitoli di spesa: Pnrr, repower Ue, Fondi strutturali e Fondi di coesione. L’interlocuzione con la Commissione Ue è in corso. Entro fine aprile arriverà la risposta sulla terza tranche. Entro maggio il governo dovrà presentare la nuova proposta di Pnrr: i progetti che saltano, quelli che restano. I ministeri sono al lavoro. L’idea del governo è di far confluire i fondi sui grandi progetti dei colossi pubblici – Ferrovie, strade e autostrade, Eni, Terna, Snam. – avendo così la certezza della capacità di spesa e di realizzazione. Una prospettiva che non piace ai sindaci e ai presidenti di regione del sud che attaccano: “Quei soldi l’Europa li ha dati soprattutto a noi, metteteci in condizione di spenderli”.

Su questo soprattutto si è concentrato venerdì il menu del pranzo tra Meloni e Mattarella, durato oltre due ore tanto da far saltare i comizi finali in Friuli. Il Presidente della Repubblica è molto attivo in questo periodo e ha a sua volta contatti assai frequenti con la Commissione e la presidente Ursula von der Leyen. Uscito di scena Draghi, è diventato Mattarella il garante del Piano e il Capo dello Stato non perde occasione per richiamare il governo a mettere tutte le energie nella realizzazione del Piano. Così come chiama e incontra anche Draghi che ha gestito il Piano per i primi 18 mesi senza mai arrivare un giorno in ritardo sulla tabella di marcia. Ieri c’è stato il giallo dell’incontro di Draghi al Quirinale proprio nelle ore in cui Mattarella incontrava Meloni e anche il commissario Gentiloni. Nessuno giallo: è routine che il Capo dello Stato incontri chi ha gestito il Pnrr, nel recente passato e oggi, per avere le garanzie che tutto proceda come deve.

Il governo invece ha perso sei mesi. Più altri tre prima, da luglio a ottobre 2022, durante le crisi di governo che ha rallentato tutto. In questi mesi Meloni si è preoccupata si cambiare la governance, il modello di governo del Piano che conta oltre cinquecento progetti, oltre duecento miliardi e un cronoprogramma che non può essere cambiato. E’ chiaro perché ora siamo in ritardo. Sempre in ottica Pnrr, nel mese di aprile diventa legge un decreto che ha dentro la governance e una serie di misure per semplificare le procedure. Il ministro Fitto conta molto su questo decreto per far partire la macchina ingolfata del Pnrr. Intanto il Pd chiedono che il ministro venga a spiegare in aula le modifiche che intende chiedere prima di presentarle a Bruxelles. Conte chiede invece un tavolo per un confronto ed una gestione comune delle criticità. Oggi a palazzo Chigi ci sarà un vertice di maggioranza per parlare di questo ma anche di immigrazione. I grandi numeri che potrebbero partire in direzione Italia ed Europa pretendono una strategia. Un confronto. Sicuramente un Piano di accoglienza. Ma anche di rimpatri e di redistribuzione. Alla fine, esaurita la propaganda, si torna sempre ai vecchi metodi. Logori e insufficienti.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.