“Il Mediterraneo è il cimitero europeo e noi siamo i testimoni scomodi dei crimini che lì si consumano”. È un j’accuse documentato quello che Giorgia Linardi, portavoce della Ong Sea Watch in Italia, lancia nell’intervista a Il Riformista.

Le stragi di migranti in mare sono ormai fatto di cronaca quotidiana. Il Mediterraneo è il cimitero europeo?
Purtroppo è un fatto oggettivo che il Mediterraneo sia diventato il cimitero europeo. È il confine più letale al mondo. Oltre 25mila morti dal 2017. E sono numeri, pur spaventosi, in difetto. Perché queste sono le morti accertate ma non è dato sapere quante persone spariscano nel Mediterraneo senza che nessuno lo sappia. I morti continuano ad aumentare. Pensiamo a quanto accaduto la scorsa settimana. Un altro naufragio davanti alla Tunisia. Un barcone che si è capovolto e su cui è intervenuto una nave Ong, la Nadir, che è riuscita a soccorrere venti persone ma almeno altre 18 risultano disperse, e hanno recuperato due cadaveri. In questo scenario che definire tragico è poco, s’inserisce il ruolo a cui le Ong sono relegate…

Quale?
Quello di testimone scomodo della tragedia del Mediterraneo. Perché molte di queste stragi non le conosceremmo se non fosse per il ruolo di testimonianza svolto dalle Ong. Pensiamo, per esempio, al naufragio avvenuto un paio di settimane dopo la strage di Cutro, nel weekend tra l’11 e il 12 marzo, in cui altre trenta persone hanno perso la vita, nonostante la loro presenza in mare fosse stata resa nota alle autorità di tre stati dall’Ong Alarm Phone e poi dall’aereo di monitoraggio di Sea Watch. Se non fosse stato per la società civile in mare non si sarebbe saputo nulla di queste persone. E non sappiamo neanche se senza la pressione della società civile le 17 persone tratte in salvo sarebbero state assistite.

“Testimoni scomodi”. Per chi?
Per questo come per i precedenti governi. Ci tengo a sottolinearlo perché non si è riscontrato un cambio di rotta decisivo rispetto a quello che è stato l’approccio dei governi precedenti all’attuale. Parliamoci chiaro. Dal 2017, cioè dalla stipula degli accordi con la Libia, ad oggi, ogni governo, a suo modo ha cercato di allontanare le Ong dal Mediterraneo, attraverso diverse strategie.

Vale a dire?
Il decreto anti Ong, il “decreto Piantedosi”, trasformato di recente in legge, in realtà è una idea – il codice condotta – che è partita da Minniti, allora ministro dell’Interno, che nel luglio 2017 convocò le Ong per cominciare a discutere il regolamento che doveva riguardare la condotta delle Ong in mare, dove addirittura si parlava della presenza di ufficiali di polizia a bordo. Una idea che è diventata legge con il governo Meloni ma che non è nuova. Si è poi passato, con il successivo governo, a quello che forse è stato l’apice di una feroce campagna – mediatica, politica e giudiziaria – denigratoria e criminalizzante contro le Ong, volta a scoraggiarne la presenza in mare. Un attacco diretto, insulti continui alle Ong, scatenati dalla comunicazione politica, oltre a venti indagini aperte con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e addirittura in alcuni casi di associazione a delinquere. Dovrebbe far riflettere il fatto che un paese che ha codificato quello che è il reato mafioso arrivi a scomodarlo per indagare i propri cittadini che prestano soccorso in mare. Una barbarie politico-giudiziaria che ho trovato lesiva della dignità dell’Italia, della sua storia, delle tante ferite e degli sforzi fatti per combattere i cancri della nostra società: scomodare il nostro sistema di giustizia e il nostro codice penale, rivolgendo alcune delle accuse più gravi esistenti nel nostro sistema giudiziario, verso chi cerca di far sì che nessuno sia abbandonato in mare, l’ho trovato veramente triste, e non soltanto perché mi trovo dalla parte lesa ma da cittadina italiana e persona che insieme ad altre altro non fa che cercare di mettere una toppa laddove lo stato non arriva e semplicemente non accetta che le persone muoiano davanti alle nostre spiagge.

Un continuum repressivo…
Diverse tecniche che si sono declinate governo dopo governo, con lo stesso obiettivo: eliminare dal Mediterraneo dei testimoni scomodi. Il codice minnitiano, per passare all’attacco politico, mediatico, giudiziario, condotto soprattutto dal successore di Minniti al Viminale, Salvini. Per poi passare all’approccio del governo Conte 2, meno eclatante dal punto di vista mediatico ma ancora più efficace nel combattere le Ong, con i blocchi amministrativi nei porti. Adducendo motivazioni tecniche, relative alla sicurezza delle navi delle Ong, di fatto si è impedito che queste potessero trovarsi in mare. È stata la fase in cui è decisamente minore è stata la presenza delle Ong in mare. Le Ong sono state accusate di essere poco sicure per svolgere un’attività sistematica di soccorso in mare, salvo poi lasciar morire le persone in mare, perché la volontà di svuotare il Mediterraneo delle navi Ong non si è tradotta con l’incremento di una presenza istituzionale in mare, a livello italiano e tanto meno europeo. Per arrivare alla fase attuale nella quale si è passati alla codificazione delle regole delle Ong che stanno ostacolando la nostra presenza in mare, a fronte di una situazione in cui è evidente che tutte le accuse alle Ong di essere un pull factor sono state smentite ampiamente dai fatti. Le persone continuano a partire, continuano ad arrivare e, purtroppo, continuano a morire. Siamo un testimone scomodo quando potremmo essere l’alleato più forte del governo italiano nel chiedere una maggiore responsabilità a livello europeo. Proprio perché le Ong rappresentano non soltanto la società civile italiana ma anche di altri stati dell’Unione europea. Io nella fattispecie rappresento e parlo come portavoce di una Ong, la Sea Watch, tedesca, che cerca di raccontare anche in Germania quanto accade nel Mediterraneo e spingere per una maggiore responsabilizzazione europea. È la stessa richiesta che da sempre l’Italia fa all’Europa, e fare la guerra alle Ong è anche da questo punto di vista controproducente perché le Ong oltre a mettere una toppa dove lo stato non arriva e dove l’Europa non c’è, cercano anche di chiamare ad una maggiore sensibilizzazione europea come la stessa Italia fa. Non ha alcun senso prendersela con le Ong in mare, purtroppo, però si è scelta questa via. Nonostante che la politica portata avanti dal 2017, gli accordi con la Libia, ad oggi si sia rivelata fallimentare, con un insopportabile, altissimo costo umano, che ha fatto del Mediterraneo il cimitero d’Europa.

Il governo Meloni sostiene di avere tra le sue priorità il blocco delle partenze.
E come pensano di poter raggiungere questo obiettivo? Applicando agli stati del Nord Africa – Libia e Tunisia in primis – il “modello turco” – l’accordo che l’Ue ha stipulato nel 2016 con la Turchia di Erdogan – trattando questi stati come scatoloni da coprire di soldi e riempire di migranti, per far sì che non arrivino persone da noi. Non è su questi presupposti che si basano politiche migratorie efficaci. Anzi, questo fa si che i migranti vengano utilizzati strumentalmente come ricatto verso l’Europa per ottenere più finanziamenti. È accaduto con Erdogan, sta avvenendo con la Tunisia del presidente Saied. Non credo sia casuale il fatto che il presidente tunisino abbia deciso di dichiarare guerra da un giorno altro ai migranti subsahariani senza che ci sia stato alcun episodio scatenante.

L’altra priorità ribadita a più riprese è lotta al traffico di esseri umani.
Che questa debba essere una priorità, non c’è alcun dubbio. Questo traffico deve essere combattuto e fermato. Ma il governo ci prende in giro quando pensa e dice di voler combattere la tratta di esseri umani finanziando la Libia in modo tale che queste persone possano essere intercettate o per meglio dire catturate in mare, riportate indietro per poi essere di nuovo sfruttate e nella migliore delle ipotesi trovarsi di nuovo su un barcone. Questo non solo non combatte in nessun modo il traffico di esseri umani, ma comporta una ulteriore violazione dei diritti umani di queste persone, per cui l’Italia è già stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti umani, come è avvenuto il 31 marzo scorso, in quel caso la condanna riguardava il trattamento nell’hot spot di Lampedusa, articolo 3 trattamenti inumani e degradanti, stesso articolo richiamato nel 2012 quando l’Italia è stata condannata dalla sessa Corte per la pratica di respingimenti collettivi. Si calpestano i diritti umani e in più si arricchiscono i trafficanti, perché le persone – come ho potuto riscontrare direttamente nell’anno che ho trascorso tra Tunisia e Libia – che soccorriamo o che ho incontrato nei centri di detenzione in Liba, ci hanno detto che avevano tentato più volte la traversata in mare e che uno dei pochissimi modi per uscire da quei lager era attraverso estorsioni o pagamento di multe imposte non soltanto dai trafficanti ma dalle stesse autorità libiche. Finanziando questo sistema criminoso, codificato dalle leggi della Libia, il governo italiano sta contribuendo indirettamente all’arricchimento dei trafficanti. Pensare di combattere questo sistema ramificato arrestando sistematicamente le persone a bordo che guidano il barcone di turno – pesci piccoli – è una narrazione propagandistica spacciata come pratica vincente. Chi è a capo di questo traffico, i pesci grossi di queste organizzazioni criminali, non li trovi sui gommoni. E questo non lo dicono le Ong. Lo dice il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che da anni ha sanzionato alcuni dei principali esponenti tra le autorità libiche che invece l’Italia ha invitato nel nostro paese e con cui ha stretto accordi. Se questo lo chiamano lottare contro la tratta di esseri umani…

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.